Repubblica 22.5.18
Intervista a Luigi Cancrini
Il diritto dei tossicodipendenti alle cure
“Eravamo avanti adesso non importa più a nessuno”
di Giulia Santerini
ROMA
«Si è determinata una disattenzione importante… In pratica non gliene
frega più niente a nessuno». Lo psichiatra e psicoterapeuta Luigi
Cancrini è fondatore del Centro studi di Terapia familiare e relazionale
e ha vissuto da protagonista la lotta alla droga degli anni 80 e 90:
«Anni in cui l’Italia era all’avanguardia», ricorda fiero.
Già
direttore di diverse comunità Saman, consulente per Livia Turco sotto il
governo Prodi, è stato responsabile dell’Osservatorio italiano e membro
dell’Osservatorio Europeo sul tema. «Si parla giustamente di fine vita e
unioni civili, ma il diritto dei tossicodipendenti alle cure stabilito
da una legge del ’75 è stato dimenticato».
Dimenticato da chi? Perché Sert e comunità di recupero si sentono abbandonati?
«Innanzitutto
c’è un problema di risorse. Ci sono Regioni come Lazio, Abruzzo e
Puglia ridotte all’osso. Mancano coperture per il personale, le piante
organiche restano incomplete, non si sostituisce chi va via. I
finanziamenti restano deboli. Chi può, manda il figlio in una comunità a
spese proprie perché è sempre più difficile seguire la prassi della
selezione da parte dei Sert, che non riescono a pagare. La Regione
Toscana sta provando a uscirne fondendo Sert e Centri di salute mentale.
E poi è venuto meno un sistema ricchissimo».
Quale sistema?
«Il
“Progetto uomo” di don Picchi, e tante altre realtà nate dalla passione
e dall’amore, e che invece oggi languono. Vengono meno i mezzi e le
forze, anche in relazione alla caduta dell’interesse da parte
dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione».
Meno morti meno attenzione?
«Proprio
così: l’eroina faceva i morti, con la cocaina che l’ha sostituita le
persone si illudono di poter convivere. Continuano a lavorare, ad avere
una vita sociale. È un tipo di dipendenza apparentemente compatibile con
una vita normale».
Come si è arrivati fin qui?
«Negli anni
Duemila è cominciato il disastro. Carlo Giovanardi chiamò come direttore
scientifico del Dipartimento antidroga di Palazzo Chigi Giovanni
Serpelloni, un tossicologo di Verona che ha scelto l’atteggiamento
punitivo e la terapia medica tipici della destra. Le cose non sono
andate meglio fino ai governi di Letta, Renzi e Gentiloni. Non era
facile cambiare rotta. Sono stati stanziati moltissimi soldi che poi le
Regioni non sanno neanche come spendere. Invece di metterli sui Sert, si
finanziano progetti e bandi che le amministrazioni non sanno gestire».
Lei fu ministro nel “governo ombra” di Occhetto con delega alle tossicodipendenze. Qual era la vostra ricetta?
«La
nostra idea era di occuparsi della lotta al traffico, con polizia e
magistratura ma anche con l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo
della droga e la prevenzione del crimine».
E al governo oggi invece come funziona?
«Oggi
c’è ancora un dipartimento che è legato alla presidenza del Consiglio,
ma in questo modo a ogni cambio di governo cambia tutto. Con Amato
premier ci fu una delega alla droga al ministero per le Politiche
sociali che lavorava con la Sanità, quello aveva un senso. Oggi
servirebbe al ministero un dipartimento dedicato, guidato da persone
capaci. E poi servirebbero campagne, informazione anche tra i ragazzi,
magari attraverso i coetanei».