il manifesto 22.5.18
«La Casa non si tocca. La giunta parli con noi»
Tra
slogan e colori, un migliaio le donne ieri in piazza del Campidoglio.
Nel frattempo la sindaca ribadiva di voler mettere a bando i servizi
di Alessandra Pigliaru
Erano
più di un migliaio le donne che ieri si sono ritrovate in piazza del
Campidoglio per il presidio organizzato in difesa della Casa
internazionale delle donne di Roma. E se alle 18 pioveva a dirotto
questo non ha fermato le tante (con una interessante presenza maschile)
che, giovani e meno giovani, hanno occupato lo spazio davanti al Comune
dove nel frattempo si svolgeva l’incontro tra il direttivo di via della
Lungara e le assessore capitoline che nei mesi scorsi avevano
partecipato al tavolo delle trattative. Poco e niente si è deciso
durante la riunione alla presenza del direttivo, della sindaca, della
consigliera Guerrini, del presidente del consiglio comunale De Vito e
delle assessore. Poco e niente perché il tema non sono state le
trattative ma l’appoggio della mozione Guerrini, che ha il sostegno di
Raggi nel chiedere una messa a bando di tutti i servizi della Casa per
un «rimodernamento» e «aggiunta» di nuovi soggetti associativi. Sul
debito, cioè sul tema del contendere, l’assessora al patrimonio non ha
potuto verificare i conti presentati dalla Casa e dunque se ne riparlerà
più avanti.
Sta di fatto che, mentre in piazza si levavano
slogan, si battevano forte tamburi, si cantava e alla presenza di
sindacati, collettivi, altre case (per prima quella di Lucha y Siesta),
la sindaca – intuiamo prima di incontrare il direttivo che aspettava in
anticamera – scriveva sulla sua bacheca di facebook tentando di
rassicurare le molte reazioni giustamente indignate contro di lei e la
sua giunta. Due modi diversi di intendere la politica, da una parte
renderla attiva e presente, partecipativa attraverso la prossimità dei
corpi che si incontrano per il confronto e chiedono conto a chi governa
la città e vorrebbe smantellarne uno dei punti nevralgici, ovvero la
Casa delle donne. Dall’altra parte, una idea di politica che non intende
confrontarsi con chi da mesi desidera risposte sensate sulle sorti non
di un edificio da mettere a reddito con rinnovamenti imprenditoriali,
bensì il riconoscimento e l’assunzione del lavoro fatto. Del guadagno di
libertà di cui beneficia anche Virginia Raggi. Questo guadagno,
materiale e simbolico, è la storia del movimento delle donne e del
femminismo – il vero rimosso di questa faccenda da parte della giunta –
in cui è immersa anche la Casa internazionale delle donne di Roma la cui
vicenda non andrebbe trattata con computi di affitti e sgravi. Andrebbe
invece osservata più seriamente, con maggiore cura, tanta quanta le
donne di via della Lungara in questi anni hanno restituito alla città e
che in queste settimane è sostenuta infatti da una grande mobilitazione.
Perché la politica delle donne fa bene al mondo e non ha tornaconti, né
personali né di potere. Difficile da spiegare, o si sa o non lo si sa.
Evitando
di cedere al linguaggio ragionieristico che in questi mesi ha
accompagnato la «trasparenza» 5s nella interlocuzione con le femministe
della Casa, nella memoria presentata dal direttivo (e altrettanto
ignorata dalle destinatarie che ne avevano fatto esplicita richiesta) si
segnalano tutte le spese di cui si sono fatte carico. Dalla abitabilità
alla ristrutturazione, spese ordinarie e straordinarie, pagati quasi
600mila euro di affitti. Si legge poi che «in merito all’impossibilità
sostenuta da questa amministrazione di valutare i servizi offerti dalla
Casa internazionale delle donne a fini della riduzione del debito – con
l’argomentazione che a essi è già dovuta la riduzione del canone all’80%
– che ciò non è previsto dalla Delibera del Consiglio Comunale n. 5625
del 27 settembre 1983 in quanto la riduzione era possibile darla a Enti o
Associazioni che svolgono attività di carattere sociale, assistenza,
culturale, sportivo se la loro finalità è di interesse generale, mentre
non si fa riferimento in alcun modo ai servizi». Questi servizi (medici,
psicologici, di consulenza e supporto legale, culturali, di supporto
alla genitorialità, di orientamento lavorativo) sono stati valutati (nel
marzo 2015, dagli stessi uffici tecnici del Patrimonio) «per un valore
di quasi 700 mila euro annui». Tra utenze, stipendi e oneri
professionali (tutto sostenuto tramite l’autofinanziamento), si produce
«per la città di Roma un valore aggiunto pari a oltre 350 mila euro
l’anno tra salari e imposte e tasse pagate». Chissà che si riesca a
intuire, da parte della amministrazione, che oltre alla storia del
femminismo, va riconosciuto anche chi in questi anni ha mostrato di aver
lavorato alacremente per la comunità.