Repubblica 21.5.18
Il reportage. Vite da ( politici) prigionieri
Tra i leader catalani che leggono Gramsci nelle celle di Madrid
Junqueras
pulisce vetri, Forn scrive diari. E le mogli raccontano “ Da mesi senza
un processo, un’impresa vederli. È solo vendetta”
di Omero Ciai
L’offensiva
giudiziaria contro i dirigenti secessionisti catalani, avviata
nell’ottobre scorso dalla Audiencia Nacional di Madrid (Jordi Sànchez e
Jordi Cuixart i primi arrestati) è ormai da mesi nelle mani del
Tribunale Supremo, massimo organo giurisdizionale spagnolo. Per i nove
politici attualmente in carcere preventivo (detenuti per la maggior
parte il 2 novembre e il 23 marzo scorsi), l’accusa del giudice Pablo
Llarena è quella di “ribellione”: la condanna prevista è fino a 30 anni.
BARCELLONA
L’ex vice presidente catalano Oriol Junqueras, in carcere in attesa di
giudizio da sette mesi, è dimagrito, legge moltissimo, gioca a calcio e
pulisce i vetri.
Quello di pulire i vetri è il compito che
Junqueras si è auto assegnato perché il settore del carcere di
Estremera, a Sud di Madrid, dove è rinchiuso, è autogestito dai
detenuti.
Puliscono le celle, i corridoi e tutte le aree in comune.
Junqueras
vorrebbe insegnare, fare corsi di storia o filosofia e, perfino fisica
quantistica, agli altri carcerati, ma la direzione non glielo ha
permesso. Così pulisce i vetri. Nello stesso reparto ci sono altri due
leader catalani: l’ex conseller degli esteri, Raül Romeva; e l’ex
responsabile degli interni, Joaquim Forn. Romeva sta leggendo tutti i
libri di Antonio Gramsci e ha ridipinto le pareti del carcere. Forn
scrive un diario e risponde alle migliaia di lettere, “più di trecento
al giorno”, che riceve dalla Catalogna. Voleva anche studiare inglese ma
ha rinunciato quando ha scoperto che il professore era detenuto per
avere ucciso la moglie. Junqueras è quello che è stato punito più
spesso. L’ultima volta gli hanno negato per due settimane “l’ora d’aria”
perché aveva usato i 4 minuti al giorno che ha a disposizione per fare
una telefonata all’esterno del carcere per chiamare una radio di
Barcellona, e parlare in diretta con un giornalista.
I leader
catalani in carcere sono in tutto nove. Sei sono ex membri del governo
che promosse il referendum illegale di autodeterminazione del primo
ottobre 2017. Una, Carme Forcadell, è la ex presidente del Parlamento,
sciolto da Madrid con il commissariamento dell’autonomia regionale. Gli
ultimi due sono i presidenti dei movimenti civici indipendentisti, Jordi
Sànchez e Jordi Cuixart.
Secondo i loro familiari, e i loro
avvocati, questa lunga detenzione preventiva, prima di un processo sulle
cui basi legali molti dubitano - sicuramente il tribunale belga e
quello tedesco che frenano sull’estradizione degli esuli -, avrebbe un
solo obiettivo: quello di annichilire il movimento indipendentista
seminando il terrore tra gli elettori del fronte secessionista.
«Prima
che arrivassero i catalani a Estremera - racconta orgogliosa Laura
Masvidal, moglie di Joaquim Forn - il servizio postale del carcere era
un agente in motocicletta, adesso hanno dovuto prendere un furgoncino e
moltiplicare gli addetti al controllo». «A Madrid - aggiunge non hanno
capito che dietro ai nove detenuti c’è un popolo. Gli scrivono lettere
da ogni angolo della Catalogna, e quando inviano la risposta chi la
riceve piange dall’emozione e conserva la busta come un gioiello».
La vita personale di Laura, e quella di Diana Riba, moglie di Romeva, sono state sconvolte dall’arresto dei mariti.
«Come
entrare in una voragine», dice Laura. Adesso la loro attività
principale è partecipare a tutte le manifestazioni di solidarietà.
Cene,
comizi, cortei, in ogni paesino della regione. In media quindici eventi
ogni giorno. E andare a visitarli in carcere. Una volta alla settimana
per 40 minuti con un vetro in mezzo e, una volta al mese, per un
incontro di due ore.
«Il viaggio è una crudeltà - dice Diana, che ha due figli piccoli -.
Settecento
chilometri all’andata e settecento al ritorno per 40 minuti. Perché non
li spostano in un carcere più vicino?». Txell Bonet, moglie di Jordi
Cuixart, ha un figlio di tredici mesi. «Dal 23 ottobre sono andata a
trovarlo in carcere già 32 volte. È illegale che come padre di un bimbo
così piccolo mio marito debba stare rinchiuso così lontano da Barcellona
in attesa del processo.
Il giudice sostiene che c’è ‘pericolo di
fuga’ ma ci sarebbero molte altre formule. Ci sono i braccialetti
elettronici o gli arresti domiciliari. Quella di Madrid è una vendetta».
Anche le spese ogni volta non sono poche. In auto è un viaggio di sette ore. Meglio treno o aereo.
Per ora i costi dei viaggi di tutte le famiglie sono coperti dalle sottoscrizioni dei 700 comuni indipendentisti catalani.
Quasi
scherzando, Laura e Diana, fanno anche l’elenco delle cose positive.
«Quest’anno - dice Laura - il commercialista mi ha fatto gratis la
dichiarazione dei redditi». «A me - aggiunge Diana - l’ottico mi ha
regalato un paio di occhiali da vista di ricambio per Raül».
«Le vicine ci portano da mangiare. Un brodo, una teglia di cannelloni, vassoi di frutta.
Perché pensano che non abbiamo più tempo né per cucinare, né per fare la spesa. Ed è proprio così».
Ma
le divergenze interne al movimento indipendentista restano un tabù.
Carcerati e fuggiaschi all’estero vengono descritti come due facce della
stessa moneta - lo Stato repressore - perché “l’esilio è un’altra
prigione”.
Però Junqueras in cella cita Socrate, che accusato
ingiustamente rifiutò di lasciare Atene, nonostante i suoi amici lo
pregassero di farlo, affrontò il processo e la condanna a morte.
Quello
del leader di Esquerra republicana con Puigdemont è un confronto
sotterraneo. Si sa che non si parlano da quando il presidente catalano
si esiliò a Bruxelles. E la strategia di Junqueras ormai è diversa.
Esquerra ha preso atto che proporre l’indipendenza fu un errore.
«Non
c’erano le condizioni», hanno ammesso. Mentre Puigdemont testardo
continua nella sfida. E il vero pericolo ora è che così si allontani
«una soluzione politica» del conflitto.
Un dialogo con Madrid a
favore di quelli che rischiano di passare in carcere i prossimi
trent’anni, e del futuro della Catalogna.