Repubblica 21.5.18
Intervista a Calenda
“Siamo un partito incomprensibile, nessuno sa su cosa ci stiamo dividendo”
di Giovanna Casadio
ROMA
Ministro Carlo Calenda, in risposta a un follower che le chiedeva su
Twitter se la mobilitazione per l’Italia potesse partire dal Pd, lei ha
risposto «non più». Perché?
«Perché le cose che si sono viste
nell’Assemblea di sabato non hanno nulla a che fare con un grande
partito progressista che ha governato bene l’Italia per una legislatura.
Cose indecorose per come è la situazione nel Paese».
Lei aveva
addirittura proposto di rinviare l’Assemblea dem e di fare partire una
mobilitazione popolare contro il patto grilloleghista. Ma le è stato
risposto che, da neofita del Pd, non capiva.
«Avevo chiesto che
mettessero da parte i dibattiti ombelicali per parlare al Paese. Per
mobilitazione intendevo la chiamata a raccolta di forze sociali,
economiche, politiche e culturali, così da riparlare con i diversi mondi
da cui deve partire la nostra rifondazione».
Ma quel «non più» cosa significa? Che il Pd è finito?
«
Rischia di finire. Un partito che diventa la somma di io sto con Renzi,
io sto con Orlando, io sto con Martina, io sto con Franceschini, io sto
con Y, non è più un partito ma una terza media all’ora di ricreazione».
Restituisce la tessera?
«Non
restituisco la tessera. Anzi, ho sbagliato a dire che lo avrei fatto,
quando si pensava a un’intesa con i 5Stelle. È apparso arrogante. Però è
chiaro che il Pd così com’è non va da nessuna parte e non basta più».
Cosa ha votato in Assemblea? Lei era per Maurizio Martina segretario?
«Io
ho votato l’unica mozione presentata. Ma il punto è un altro e non
saprei neppure spiegare a un cittadino quello che è successo lì dentro.
Siamo diventati un partito incomprensibile. Avevo già detto che ci
voleva una grande segreteria costituente, in cui ci fossero tutte le
persone che hanno rappresentato il Pd oggi e ieri, Veltroni,
Franceschini, Enrico Letta, Orlando, Renzi, Gentiloni, Pinotti e
Finocchiaro. Con delle donne capaci in segreteria magari il tasso di
testosterone diminuisce. Oltretutto è incomprensibile questa guerra tra
persone che sono state al governo insieme. Su cosa ci stiamo dividendo?»
Il Pd si rifonda o si sposta la tenda altrove, per lei?
«Io
non mi trasferisco da nessuna parte, al contrario sto scrivendo un
libro proprio sul ruolo dei progressisti. Spero ci sia la forza di
sospendere ogni confronto insulso e di avere in Gentiloni il punto di
riferimento. L’errore primo dei progressisti è che pensano di poter
sostituire la competenza con la rappresentanza, delegittimando le
paure».
Nell’Assemblea ci sono state prove di divorzio, il Pd si spaccherà?
«Non credo, ma continuerà
questa litigiosità, un conflitto a bassa intensità infinito».
Tra
i dem c’è una conta sulla leadership e forse una mancata chiarezza
sull’orizzonte del partito, se ricostruire il centrosinistra o creare
una forza liberal democratica, anti populista e anti sovranista, che
possa non escludere Berlusconi. Lei come la vede?
«Intanto
dobbiamo ricreare la nostra forza. Sbaglieremmo clamorosamente se
volessimo mutare pelle. Siamo già una forza liberal democratica che ha
governato bene ma ha perso la rappresentanza perché ha ignorato le
paure. Per questo lavoro non ci sono scorciatoie, le alleanze si fanno
nella società, non nel Parlamento».
È molto preoccupato dal governo gialloverde?
«Molto.
Sarà un governo elettorale che porterà instabilità e conflittualità.
Inizieranno a dire che l’Europa non gli fa fare le cose e chiederanno
nuove elezioni. Le prossime saranno come quelle del 1948: definiranno la
nostra collocazione internazionale.
Bisogna prepararsi ora».
Di Maio vorrebbe succederle
al ministero dello Sviluppo economico.
«Spero
non inizi chiudendo l’Ilva, il più grande stabilimento industriale del
Sud che vale un punto di Pil. E che non smonti industria 4.0, il piano
straordinario per il Made in Italy, e la Strategia energetica nazionale.
Gli
lascerò una dettagliata relazione di fine mandato e la mia
disponibilità a un passaggio di consegne, incontrandolo se vorrà. La
battaglia politica è una cosa, la responsabilità istituzionale
un’altra».