Repubblica 20.5.18
Renziani in difesa, orlandiani all’attacco
Fischi e prove di ribaltone benvenuti alla corrida dem
Orfini
cerca di frenare la platea, cori per Martina “se-gre-ta-rio”. Ora la
minoranza fiuta il sorpasso. I delegati: “ Più ci si divide, più
perdiamo voti”
di Concetto Vecchio
ROMA «Se-gre-ta-rio! Se-gre-ta-rio!».
Maurizio
Martina ha appena ripetuto «tocca a me, tocca a me», e dalle fila dei
suoi sostenitori parte, improvviso e potente, un coro sillabato. Si
replica quando puntualizza: «Siamo alternativi anche a Forza Italia». Lo
stesso scroscio di battimani che sommergerà Andrea Orlando che esclama
con foga: «Non voglio fare il partito degli antipopulisti con
Berlusconi!».
C’è poi una terza scena che fotografa le sette ore
all’Ergife, il mutamento sotterraneo dei rapporti di forza consumatosi
ieri dentro il Partito democratico: il renziano Roberto Giachetti sta
tirando le orecchie a Martina e a Orlando quando parte la contestazione
più sanguigna. «Bastaaa!», gli dice il napoletano Peppe Russo.
«Dimettiti
da consigliere comunale!», gli ingiunge l’ex presidente dell’Arcigay
Aurelio Mancuso. Giachetti procede tra i fischi che diventano «buuu»
dopo la difesa del Jobs Act. Una signora gli urla: «18 per centoooo». Un
militante ripete come tarantolato: «Sesto Fiorentino...», ricordandogli
il seggio blindato avuto lo scorso 4 marzo.
Mai come stavolta il
renzismo è stato messo sotto accusa, in una sala dove Matteo Renzi, in
teoria, dovrebbe avere il 70 per cento dei delegati. Ne sono arrivati
829 da tutta Italia. «Spero ancora nell’unità», dice alle 10 del mattino
l’ex assessore romano Giancarlo D’Alessandro, 69 anni, consulente
d’impresa. «Io vengo da Prato, dove il collegio è andato al
centrodestra», racconta Lorenzo Tinagli, 21 anni. La professoressa Ada
Fiore è arrivata dalla Puglia, «dove io, sindaco per dieci anni di
Corigliano d’Otranto ho straperso contro una sconosciuta M5S: più
litighiamo più voti perdiamo». Pietro Virtuani, il segretario di Monza, e
Sergio Gianni Cazzaniga, sindaco di Besana in Brianza, sperano che non
ci sia la conta, perché «il punto non è Martina o Renzi, ma il Pd».
Ce
ne sarebbero, insomma, di cose di cui discutere. La minoranza, che fu
umiliata al momento della compilazione delle liste, ora si ribella
fiutando il ribaltone, come «una curva nello stadio», denuncerà
Giachetti a sera su Facebook. Ci sono scene che ricordano certi
congressi della Dc e istantanee che spiegano il cambio di stagione più
di dotte analisi: Renzi che non interviene e va via subito dopo la
relazione di Martina; soprattutto i suoi, collocati al centro del
salone, danno, per la prima volta, l’impressione di essere come
intimiditi psicologicamente dal clima in sala. La minoranza, sistematasi
non a caso nell’ala sinistra, monopolizza l’arena con rumorosa
ribalderia.
«Capiamoci, anche basta», aveva capito l’antifona il
presidente Matteo Orfini, quando all’inizio aveva annunciato di voler
cambiare l’ordine del giorno, rinviando a una successiva riunione estiva
la discussione sul nuovo leader. Un differimento deciso
«all’unanimità», aveva precisato, e subito era partita la bordata dalla
platea: la prima di tante. «Ma quale unanimità, hanno fatto il gioco
delle tre carte», s’inalbera l’ex deputato campano Simone Valiante. Gli
anti-Renzi all’improvviso sembrano tantissimi. Quelli di Emiliano
rumoreggiano senza soste. «Sono 190 solo gli orlandiani», è il calcolo
che attribuiscono all’uomo macchina della corrente, Giulio Calvisi. È
come un’onda sempre più alta. «Martina esce più forte», esulta Sergio Lo
Giudice.
«Stanno cambiando gli equilibri», annuisce Andrea Martella.
Gianni Cuperlo s’aggira soddisfatto. Anna Finocchiaro e Luigi Zanda
assistono ai lavori seduti, senza muovere un muscolo, mentre attorno a
loro s’inscena la ribellione che in futuro potrebbe aggregarsi attorno
alle leadership di Martina o del governatore del Lazio Nicola
Zingaretti.
Quando tutto è finito ritroviamo D’Alessandro al bar,
mentre ordina un caffé. «Quante divisioni, nessuno affronta le vere
questioni politiche», conclude amaro.