martedì 1 maggio 2018

Repubblica 1.5.18
Il Centro Cochrane
Scopri se la cura è efficace
Le regole della medicina scientifica applicate alle terapie contro le malattie mentali. Ecco come
di Davide Michielin


Una persona che su dieci tentativi centra due volte il bersaglio sa tirare con l’arco. Ma se la vostra sorte dipendesse da due unici tentativi, probabilmente chiedereste consiglio all’arciere di professione con la più alta percentuale di centri ottenuta. Poiché per l’autorizzazione di una terapia basta che poche ricerche controllate ne dimostrino l’efficacia, la medicina basata sull’evidenza segue questo approccio ed esamina tutte le ricerche svolte per avere una risposta coerente e completa sull’efficacia di un farmaco. Ma c’è un ambito della medicina in cui l’aleatorietà delle misure è massima: la psiche umana. Sembrerebbe impossibile cercare in psichiatria le “prove certe”, ma è proprio quello che fanno gli specialisti del neonato Centro Cochrane di riferimento per la salute mentale globale di Verona.
« Nella psichiatria la conoscenza dei meccanismi patologici è ancora parziale. Inoltre c’è un minore ricorso alla strumentazione: la diagnosi è descrittiva, basata su un colloquio personale. Se vogliamo, questo è un limite ma anche il fascino della nostra professione,» sorride Corrado Barbui, professore di Psichiatria all’Università di Verona e direttore del Centro Cochrane. Eppure, anche in questa aleatorietà, è possibile cercare le prove di efficacia e individuare le scelte terapeutiche migliori. Selezionando, nella vasta letteratura scientifica, gli studi più significativi ed escludendo quelli che, per un vizio nel disegno sperimentale o per conflitti di interesse, non rispondono alle rigide linee guida metodologiche. « Le revisioni sistematiche e le meta-analisi ci permettono di combinare i dati e ottenere un campione molto numeroso, generando risultati robusti,» spiega Marianna Purgato, psicologa ricercatrice presso il medesimo centro. Anche per i trattamenti non farmacologici. «La psicologia clinica si muove verso la descrizione accurata e la riduzione della durata degli interventi, dalla terapia cognitivo- comportamentale a quella psicodinamica. E allora: perché costringere il paziente a trenta sedute se è possibile ottenere lo stesso risultato con la metà?», prosegue Purgato. Le meta analisi sono uno strumento potente, i cui responsi tuttavia non devono essere distorti. « La difficoltà sta proprio nel passare dal contesto sperimentale, basato su una situazione media, a quello clinico. Nella realtà quotidiana il paziente medio non esiste. Inoltre, il luogo in cui viene somministrato l’intervento è cruciale: c’è una bella differenza tra l’essere rinchiusi nell’ospedale psichiatrico e recarsi autonomamente all’ambulatorio sotto casa», conferma Barbui, che rivela come accanto a trial raffinati oggi vadano diffondendosene di più pragmatici. Altrettanto controllati ma basati su criteri di inclusione meno restrittivi e per questo più fedeli alle sfaccettature della realtà.
Un’altra incognita sono i criteri di esito. Se per valutare la guarigione di una frattura è sufficiente una radiografia, nei disturbi mentali non è altrettanto semplice stabilire il miglioramento del paziente. «Sono utilizzate scale di valutazione basate non solo sui sintomi e sul disagio, ma per esempio sulla ritrovata attività lavorativa o sull’adesione alla terapia. I risultati possono perciò variare di molto, a seconda della cultura o delle capacità dell’operatore» , ragiona Barbui. Ecco perché un algoritmo, per quanto raffinato, non deve sostituire psicologi e psichiatri nella scelta del percorso terapeutico. « Se è vero che nel 2018 non è più accettabile ignorare le prove di efficacia, allo stesso modo non sono esse a prendere le decisioni. Il medico capace tiene in considerazione le linee guida con raziocinio, non vi si affida ciecamente. E si confronta con il paziente», conclude Barbui.