Repubblica 1.5.18
Viaggio in Italia
Cosa resta della riforma Basaglia
Un progetto visionario. Difficile da attuare. In quarant’anni le istituzioni non sono riuscite a dare concretezza all’utopia.
Ecco perché: da nord a sud
Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Piemonte , Toscana, Campania, Puglia
LOMBARDIA di Alessandra Corica
Oggi si punta sulle famiglie
Quarantanove
reparti ospedalieri per diagnosi e terapie acute: tutti pubblici,
tranne quello privato accreditato del San Raffaele di Milano. Novantuno
centri psicosociali per i servizi ambulatoriali, 4.200 posti nelle
strutture residenziali per la riabilitazione, con diversa intensità di
cura. L’ultimo cambiamento è di due anni fa, quando con la riforma
sanitaria regionale il comparto è passato sotto la gestione del socio-
sanitario, con un’integrazione sempre maggiore sia con i reparti di
neuropsichiatria che con quelli che si occupano di dipendenze. E una
virtuosa collaborazione con il privato accreditato e il privato sociale,
che fanno della regione «la quarta in Italia – spiega Claudio Mencacci,
past president della Societa italiana di Psichiatria – per gli
investimenti. Si è cercato di coniugare cure ospedaliere e territoriali:
abbiamo 800 posti letto in regione, ce ne vorrebbero di più. Ma qui c’è
stata l’intuizione di istituire programmi innovativi per l’inserimento
lavorativo, per intercettare i giovani. Il 70% dei disturbi psichiatrici
insorge in adolescenza e nei giovani adulti».
Quarant’anni fa i
manicomi in Lombardia erano uno per provincia. « Ho iniziato a lavorare
nel 1980, subito dopo l’approvazione della legge, nell’ospedale
psichiatrico di Bergamo – racconta Giuseppe Biffi, che guida il
dipartimento di Salute mentale dei Santi Paolo e Carlo di Milano
all’epoca erano ricoverati 600 pazienti: il loro ricollocamento è stato
progressivo. Anche perché allora non avevamo le strutture riabilitative
che ci sono oggi». La norma che ha creato strutture residenziali e semi-
residenziali ( quest’ultime circa 2mila) è del 1984: « Per cinque anni
abbiamo avuto un buco normativo – ricostruisce Biffi – adesso c’è anche
un maggiore coinvolgimento delle famiglie, che vengono considerate parte
integrante per il reinserimento sociale del paziente».
LIGURIA di Michela Bompani
Strangolati dalle dipendenze
Nel
territorio della città metropolitana di Genova, che vale più della metà
della popolazione ligure, sono 12.000 le persone in carico ai
dipartimenti di salute mentale. La metà ha problemi di dipendenza (
sostanze, tecnologia, ludopatie). « Il numero é enormemente cresciuto in
questi 40 anni: la legge funziona benissimo ma é cambiato il mondo
intorno e dobbiamo affrontare nuove emergenze», spiega Marco Vaggi, che
guida il Dipartimento di salute mentale e dipendenze della Asl3. Dove il
30% delle prestazioni è sul territorio, fuori dagli ambulatori. Vaggi
si batte per far funzionare il pilastro della 180: «Curare le persone, o
meglio cominciare a intercettarle preventivamente, e poi, semmai,
curarle, nel proprio ambiente. Per migliorare la qualità di vita non
sradicandole». Uno sforzo che non sempre funziona, in un sistema
affaticato dall’impostazione aziendalistica della sanità, come spiegano
alcuni operatori: «Abbiamo due auto di servizio e quaranta operatori. In
ambulatorio un operatore incontra dieci persone al giorno, a domicilio
non arriva a tre. I metodi quantitativi applicati alla salute mentale
non funzionano».
Nella Asl3 si registrano 2500 ricoveri all’anno,
poco più del 20% delle prese in carico: « Abbiamo tre reparti acuti a
Genova, più la clinica psichiatrica e alcuni reparti post acuti - spiega
il direttore - ma ciò che stiamo potenziando sono le case alloggio. Su
500 persone inserite in residenzialità, il 15% è in case alloggio,
vogliamo aumentare di un altro 10%» . Gli operatori però suonano
l’allarme turn over: l’ 80% ha trent’anni di servizio alle spalle.
«Bisogna aggiornare gli operatori sulle nuove emergenze. Quando abbiamo
cominciato i nostri pazienti erano quelli usciti dai manicomi, ora sono
sempre più ragazzi e adolescenti, ci sono tante competenze nuove da
assumere. E noi siamo vecchi e stanchi».
EMILIA ROMAGNA di Rosario Di Raimondo
Non sono pericolosi e non hanno meno diritti
L’
ufficio di Angelo Fioritti, direttore della Salute mentale dell’Ausl di
Bologna, è dentro l’ex manicomio della città. Oggi la filosofia delle
cure mentali è « più pazienti seguiti sul territorio. Ne abbiamo fatti
uscire 100 su 400 in questi anni. E siamo l’unica Regione che rispetta
il vincolo del 5% delle risorse da destinare ai servizi di salute
mentale» . Bologna segue 18mila pazienti l’anno, 80mila in tutta
l’Emilia-Romagna.
Si partì da Reggio Emilia e Parma, dove Basaglia
lavorò un anno. Dopo i manicomi nacquero i dipartimenti di salute
mentale. Poi gli Opg. E le Rems. « Non dobbiamo fare l’equivalenza tra
gli Opg, luoghi dove vivevano tre pazienti in una stanza, e le Rems, che
devono essere l’estrema ratio quando ogni altro programma terapeutico
non è possibile – spiega Mila Ferri, dirigente regionale dei servizi di
salute mentale - dal 2015, tra Bologna e Parma, abbiamo ospitato 60
persone» . Affrontare la malattia mentale, per Ferri, vuol dire questo: «
Andrebbe rivisto il concetto di pericolosità sociale. Questi pazienti
non hanno meno diritti e la sfida è rendere le terapie meno
asimmetriche: pure loro devono scegliere e decidere». Ci sono altre due
sfide complesse. « C’è un problema di salute mentale nei giovani: più
accessi al pronto soccorso, più tentati suicidi e disturbi di
personalità». La seconda: «La magistratura ha preso atto che la sanità
gestisce e tratta in maniera umana questi pazienti. E utilizza questo
strumento in autonomia. Sempre più persone passano dal carcere ai
servizi sanitari. Ma dobbiamo assorbire la gestione di casi anche molto
impegnativi con strumenti spuntati. Non è nostalgia per gli Opg, luoghi
disumani e incivili, ma è necessario ridefinire i confini tra settore
penitenziario e sanitario. Altrimenti sarà più difficile seguire quei
18mila pazienti l’anno».
PIEMONTE di Sara Strippoli
Deregulation: i danni di un decennio
Quarant’anni
fa, quando la Provincia di Torino studiava la riorganizzazione dei
servizi per superare il manicomio, negli ospedali psichiatrici torinesi
c’erano cinquemila ricoverati. Quarant’anni dopo sono 57.000 i
piemontesi seguiti dai dipartimenti di salute mentale. Di questi, 2870,
circa il 5%, sono ricoverati in strutture residenziali. Con una spesa di
66,6 euro a testa, circa il 10% in meno della media nazionale ( 73,8). A
Trento si impegna il 6,26% della spesa sanitaria. In Piemonte nel 2015
era il 3,13; la media nazionale è del 3,49.
A 40 anni dalla
Basaglia il Piemonte ha predisposto una riorganizzazione, un piano in
attuazione di quello nazionale e ha pronta una bozza che sarà discussa
in consiglio regionale. È convinzione che strutture psichiatriche
territoriali, comunità e gruppi appartamento debbano essere ripensati.
Per oltre un decennio la regione è rimasta senza regole tariffarie,
senza sistema di accreditamento per i gruppi appartamento e in questa
deregulation si è creato un eccesso di offerta. La prima fase di analisi
capillare ha evidenziato servizi domiciliari troppo deboli, offerta
sanitaria abbondante ma socio- sanitaria carente. Il piano è articolato
in obiettivi e venti azioni per realizzarli. « Superare lo stigma a cui
sono sottoposti i pazienti è l’obiettivo primario — spiega l’assessore
Antonio Saitta – dobbiamo andare oltre la frammentazione degli
interventi e coordinare le reti a supporto delle fragilità,
incrementando le iniziative per la promozione della salute nell’infanzia
e adolescenza» . La parola chiave è autonomia con il potenziamento di
tutti gli interventi che possano servire a rendere indipendenti i
malati: sostegno all’abitare, inserimento lavorativo, occasioni di
socializzazione. E un sito dedicato con indicazioni, suggerimenti e
risposte.
TOSCANA di Michele Bocci
Ma sì, ce l’abbiamo fatta
Prima
della Basaglia il manicomio di Firenze era San Salvi, uno dei più
grandi d’Italia. Lo psichiatra Giuseppe Saraò negli anni Settanta
lavorava in quella struttura, poco prima che chiudesse. Ha quindi
vissuto tutto il periodo della dismissione e l’avvio dei nuovi servizi
psichiatrici. «In Toscana la legge è stata applicata bene quasi ovunque –
spiega – all’inizio non è stata fatta una pianificazione precisa delle
risorse per le strutture territoriali, spesso i servizi si sono retti
sulla buona volontà dei professionisti». I problemi di solito si
riflettevano sulle famiglie dei malati. «Oggi i servizi psichiatrici
sono ovunque – racconta – anche se ci sono problemi di risorse» . Nella
Asl del Centro, che copre le province di Firenze, Prato e Pistoia, «
adesso manca una funzione di coordinamento dei servizi psichiatrici.
Sono spariti i primari, che ai tempi di San Salvi erano addirittura 20.
Allora erano troppi - continua Saraò - oggi sono troppo pochi. I servizi
ne risentono perché questa specialità si esercita sul territorio, in
ambulatori e distretti, ma anche in ospedale e ci sarebbe bisogno di un
coordinamento tecnico molto forte. E i responsabili medici sono
necessari».
Saraò ricorda bene i primi tempi della Basaglia. « La
legge venne applicata piano piano, con grandi lacerazioni e discussioni.
Tutti i giorni finivano sui giornali le dispute ideologiche tra
favorevoli e contrari. Ricordo che una parte significativa degli
operatori a quel tempo era contraria mentre io ero d’accordo. All’inizio
abbiamo creato un modello di psichiatria di settore, con i reparti
collegati al territorio di provenienza del malato. Si lavorava in
ospedale e poi il paziente veniva seguito anche dagli ambulatori della
sua zona, Chianti o Mugello che fosse». Poi le cose sono cambiate e oggi
anche la psichiatria fa i conti con i problemi di risorse del servizio
pubblico.
CAMPANIA di Giuseppe Del Bello
Così i pazienti sono abbandonati
Sette
dipartimenti di salute mentale di cui fanno parte 91 centri
territoriali ( 1.9 per 100 mila): il 14% in meno della media nazionale,
51 strutture residenziali ( 1.1 per 100 mila) che in questo caso
rivelano un gap di meno 70.8 % e 52 strutture semiresidenziali ( 1.1 per
100 mila), cioè il 34.7% in meno. I posti letto disponibili sono 511
(10.8 per 100 mila abitanti), di cui soltanto il 35.2% in strutture
pubbliche, i rimanenti 64.8 nelle case di cura private accreditate. I
Tso sono del 9.8% più frequenti della media nazionale.
La spesa
complessiva per l’assistenza psichiatrica nel 2015 è stata di circa 242
milioni di euro, 51 euro pro-capite, circa il 30% in meno della media
nazionale. «Solo il 2.4% del budget dedicato alla spesa sanitaria è
stato assegnato all’assistenza psichiatrica – si sfoga Andrea Fiorillo,
docente di Psichiatria all’Ateneo Vanvitelli di Napoli - una cifra che è
circa la metà di quanto stabilito nel piano sanitario nazionale e più
di un punto percentuale meno della media nazionale. Siamo al penultimo
posto, prima della Basilicata».
Non va meglio per il personale a
tempo indeterminato: quello in servizio presso le strutture dedicate
all’assistenza psichiatrica è inferiore del 10% rispetto alla media
nazionale. A scarseggiare sono psichiatri ma, in misura più drammatica,
psicologi, tecnici della riabilitazione psichiatrica, sociologi e
assistenti sociali. « Non sorprende che i pazienti trattati per 10 mila
abitanti siano il 12.5% in meno rispetto alla media nazionale, e le
prestazioni erogate per utente più basse del 29.5. Nel solo 2015 circa
66 mila persone sono state seguite per un disturbo mentale. E di queste
circa 28 mila erano al primo contatto con una struttura psichiatrica. Un
dato che rivela che il sistema assistenziale campano è in gran
difficoltà a intercettare i nuovi casi di patologia mentale».
PUGLIA di Antonello Cassano
I malati chiedono ma l’assistenza non basta
Gli
ultimi due manicomi privati d’Italia chiusero in Puglia nel 2010, 32
anni dopo l’approvazione della legge: il Santa Maria di Foggia e il Don
Uva di Bisceglie. Da allora molto è cambiato, ma restano criticità,
prime fra tutte la carenza di offerta rispetto alla domanda di
assistenza psichiatrica e la mancanza di sicurezza per gli operatori.
Partiamo dai numeri: nel 2017 sono stati 53.395 gli assistiti nei Centri
di salute mentale e 6.087 i ricoveri, di cui 760 in regime di
trattamento sanitario obbligatorio. Da segnalare anche i 920 ricoveri in
regime di semi-residenzialità e i 1580 posti letto occupati dai
pazienti ricoverati in strutture residenziali. « Nel corso di questi 40
anni - specifica Domenico Suma, dirigente del Dipartimento di salute
mentale dell’Asl di Brindisi e membro del gruppo di lavoro per stilare
il Piano regionale di salute mentale - oggi i pazienti affetti da
disturbi psicotici si sono ridotti al 25% del totale. Ed è più pressante
la richiesta di interventi per disturbi dell’umore, della personalità,
psichiatrici nell’anziano, per richieste provenienti dal disagio sociale
e per disturbi causati dall’uso di sostanze».
Dal 2016 in Puglia
sono state aperte anche due Rems ( Residenze esecuzione misure di
sicurezza), una pubblica a Spinazzola e l’altra a Carovigno, con il
sistema pubblico-privato. Qui vengono ospitati pazienti psichiatrici che
hanno commesso reati o sono in galera. In tutto 38 posti letto. Ma
secondo i dati della Regione, in lista d’attesa ci sono altri 20
internati. «Non siamo fanalino di coda in Italia - conferma Suma - ma il
fabbisogno di posti letto appare al di sotto delle richieste che
provengono dalle autorità giudiziarie». E nessuno dimentica il 4
settembre 2013, quando la psichiatra Paola Labriola fu uccisa da un
paziente con 70 coltellate.