Repubblica 1.5.18
Farmaci
Eppure sono indispensabili
La chimica però non basta. Va associata a interventi psicosociali su misura
di Giuseppe Del Bello
Carlo
parlava, ma era difficile comprendere le sue parole. E anche il suo
comportamento era disorganizzato. Negli anni ’70 non era raro incontrare
un paziente psicotico con queste caratteristiche. E neppure uno
psicotico catatonico. Condizione inconfondibile. «Il quadro clinico è
andato in parte modificandosi – osserva Mario Maj, direttore del
dipartimento di Psichiatria dell’Ateneo Vanvitelli di Napoli - e un
tipico paziente con schizofrenia di oggi mostra più raramente un
comportamento disorganizzato o una marcata incongruenza affettiva. I
sintomi dominanti sono invece i deliri di persecuzione o di
influenzamento. E le allucinazioni uditive, voci dai contenuti a forte
valenza emotiva per il paziente» . Se quasi mezzo secolo fa si è
riusciti a chiudere gli ospedali psichiatrici, il merito va anche a quei
farmaci che consentirono di tenere a bada le manifestazioni più
eclatanti delle malattie mentali gravi, in particolare della
schizofrenia. Si parte da lì, dagli antipsicotici di prima generazione.
Efficaci, ma con effetti collaterali importanti. « Era facile
riconoscere un soggetto in trattamento – ricorda il professore –
sonnolento, rigido nei movimenti, con evidente tremore e mimica del viso
molto ridotta. Se la terapia veniva prolungata, talvolta si
aggiungevano movimenti involontari. Come smorfie o protrusione della
lingua, in qualche caso irreversibili: la cosiddetta “ discinesia
tardiva”» . E questi effetti collaterali diventavano la base del gran
rifiuto dei pazienti al trattamento. E anzi, finiva che pure i familiari
si facessero dominare dalla diffidenza. Anche perché il brusco stop al
trattamento si traduceva in una nuova esplosione di sintomi. E di qui,
ancora nel tunnel del ricovero – a volte coatto – nei servizi
psichiatrici istituiti negli ospedali. Poi, le cose sono in parte
cambiate. Con gli antipsicotici di seconda generazione: « Gli effetti
collaterali neurologici ( come tremore e rigidità) sono diventati molto
più rari - continua Maj - ma, con l’uso esteso, è comparso un altro
effetto. Frequente, visibile e portatore di stigma: l’aumento ponderale.
Anche di decine di chili» . Cosa che non sfugge.
Gli anni passano
e la rivoluzione continua con gli antipsicotici di terza generazione,
che producono molto raramente sia gli effetti collaterali neurologici
che quelli metabolici. E che, a differenza delle classi precedenti,
interferiscono pochissimo con la funzione sessuale. Importante
soprattutto nei giovani maschi, pronti a sospendere la terapia. «
Inoltre, alcune preparazioni a lunga durata d’azione – puntualizza il
docente - permettono oggi una somministrazione per via intramuscolare
una volta al mese (o addirittura una ogni tre mesi). E questo, da una
parte evita al paziente il confronto continuo con la sua malattia,
dall’altra rassicura medico e familiari sulla regolare assunzione della
terapia».
Ma la chimica non basta. Secondo gli specialisti è
fondamentale ma va associata, nella schizofrenia e in generale nelle
psicosi, a interventi psicosociali su misura. «Farmaci e interventi
psicosociali non sono in alternativa o in competizione tra loro –
osserva Maj – e oggi l’uso corretto delle nuove molecole spesso facilita
la partecipazione a interventi riabilitativi». Con qualche spunto di
riflessione. Per esempio, sul divario tra l’“ efficacia” della terapia
antipsicotica (quale emerge dai trial clinici) e la sua “ efficienza” (
cioè l’impatto nelle condizioni cliniche ordinarie). Gli antipsicotici
nella schizofrenia hanno efficacia pari ( nel trattamento acuto) e sei
volte maggiore ( in quello a lungo termine) rispetto ai farmaci per
l’ipertensione. Ma è una reale superiorità? « Questa maggiore efficacia
non sempre si traduce in un’efficienza altrettanto significativa nella
pratica clinica – risponde Maj – a causa delle resistenze di pazienti,
familiari e contesto ambientale» . E in questi casi si riaffaccia la
revolving door, la porta girevole, con continue entrate e uscite dai
reparti ospedalieri.