Repubblica 1.5.18
“Dopo 55 anni ho sconfitto la follia”
Germana era ancora adolescente quando entrò in manicomio
Una vita tra psicofarmaci e camice di forza
di Lucio Luca
Germana
era ancora adolescente quando entrò in manicomio: “Ero impulsiva,
picchiavo tutti” Una vita tra psicofarmaci e camicie di forza P er prima
cosa, finalmente “libera” dopo 55 anni, ha chiesto di andare dalla
parrucchiera: «Voglio farmi bionda, è un mio desiderio da sempre » . Poi
ha ascoltato la sua canzone preferita, “ Gocce di mare” di Peppino
Gagliardi, ha infilato le sue cose in una borsa e si è trasferita in una
casa di riposo per anziani immersa nel verde della pianura mantovana.
Germana Battaglia adesso di anni ne ha 69 e quando sente parlare di
Franco Basaglia, lo psichiatra che nel 1978 riuscì a far passare una
legge che chiudeva i manicomi, si commuove ancora: «È stato bravo
quell’uomo, meno male che i manicomi non ci sono più. Meno male…».
Germana
è una delle ultime sopravvissute a quegli ospedali che spesso
somigliavano a veri e propri lager. « Le mie compagne sono morte tutte,
in quel camerone al Dosso, lo psichiatrico di Mantova, io ero la più
piccola. Sono ancora viva, non so nemmeno come sia possibile. Sono
entrata in manicomio a 14 anni e ne sono uscita a 39, anche se
effettivamente sono rimasta internata fino al 1999, quando lo
psichiatrico ha chiuso definitivamente».
Da quel giorno ha
cambiato diverse strutture fino alla comunità San Cataldo di Borgoforte
dove, grazie al lavoro dei volontari e la passione del suo psichiatra
Enrico Baraldi, è riuscita a sconfiggere la follia. Nel giorno del suo
sessantanovesimo compleanno il regalo più grande: una lettera di
dimissioni e la qualifica di “ ex”. Ex paziente psichiatrica, ex malata
di mente, lei dice semplicemente “ impulsiva”. Non era capace di
contenere l’aggressività, litigava spesso con le amiche del collegio, a
casa rompeva piatti e bicchieri: « Non volevo mangiare con i miei
genitori, mi arrabbiavo sempre. I primi segnali li avevo avuti a dieci
anni, poi a 14 mi hanno portato in manicomio. E da lì non sono più
uscita». Nemmeno a Natale, a Pasqua, a Capodanno, per il compleanno:
«Mai, io la mia casa non l’ho più rivista. Solo una volta mi hanno
accontentata, volevo salutare la mia mamma. Ma lei era in ospedale, è
morta qualche giorno dopo. È stato il giorno più brutto della mia vita».
Dal
letto di casa a una camerata infinita, insieme a donne anziane che
urlavano e infermiere che le legavano mani e piedi o le costringevano a
indossare le camicie di forza: «Io non volevo nessuno vicino – ricorda
Germana tra le lacrime – mi isolavo per cercare di stare meglio. Quando
stavo male lanciavo di tutto, sedie, armadi, orologi, e picchiavo
chiunque fosse a tiro. Ne ho date tante, ma ne ho prese molte di più. Mi
mettevano le manette ai polsi, poi sono stata io a chiedere di essere
contenuta. Mi rendevo conto di essere pericolosa e quello era l’unico
modo per non fare del male agli altri e anche a me stessa».
Il
manicomio, naturalmente, non l’aiuta a guarire. Anzi, la fa precipitare
in un abisso dal quale credeva di non riemergere mai più: «Quando
picchiavo qualcuno non mi facevano mangiare, oppure mi costringevano a
portare il cibo in bagno. Mi tagliavano i capelli da maschio, questa è
una cosa che non gli ho mai perdonato. E più urlavo, più mi punivano. Le
suore erano le più cattive di tutti, mi rendo conto che in manicomio
non potevano fare diversamente, ma per me è stato un inferno». Per
fortuna almeno l’elettroshock Germana se l’è risparmiato: « Lo facevano
ai depressi. Io non ero depressa, ero solo impulsiva. Però li vedevo
quelli che tornavano in camerata dopo averlo fatto. Non capivano niente
per giorni, basta, non voglio ricordare altro, è troppo difficile».
Un
paio di sigarette e le note della canzone magica di Peppino Gagliardi, a
cui continua a mandare baci – « mi piace tanto questo cantante, peccato
che in tele non c’è mai» – e Germana accetta di ricominciare a
raccontare la sua storia: « Non ho ricordi belli in manicomio, anche se
mi sforzo non riesco proprio a trovarne uno. Forse quella volta che ci
portarono alle giostre, ma eravamo completamente legate. Solo le mani ci
hanno lasciato libere. Sì, diciamo che quello è l’unico bel ricordo che
ho. Quelli brutti? Io sono stata murata in manicomio da ragazzina, mi è
mancato tutto, uscire con le amiche, farmi una famiglia, la mia mamma,
il mio papà. Tutto è brutto in manicomio, tutto. Dietro di me c’è un
passato che non potrò mai dimenticare, un passato triste, da salvare non
c’è nulla. Solo qualche medico più comprensivo e soprattutto le persone
che mi hanno aiutato negli ultimi anni. Se oggi sono fuori, lo devo
solo a loro».
Quando è andata via dalla comunità, gli altri
pazienti le hanno organizzato una grande festa: « Mi sono commossa, ma
tanto io piango sempre. Mi sono passati davanti questi 55 anni, quelli
duri del manicomio e gli ultimi nelle strutture che mi hanno trattato
con umanità. Mi hanno portato a vedere il Papa a Roma, ora spero di
coronare il mio sogno più grande, quello di vedere Firenze. Rispetto a
chi dall’ospedale psichiatrico non è uscito vivo, io sono stata
fortunata. Mi hanno fatto così tante punture di medicine e tranquillanti
che non riesco più nemmeno a stare seduta, ma adesso ho imparato a
vincere le paure, non picchio più nessuno e piatti e bicchieri non
volano più da nessuna parte. È stato emozionante il mio compleanno: sono
morta a 14 anni, quando mi hanno rinchiuso, il giorno che ho compiuto
69 anni invece sono rinata. Devo essere sincera? Non me l’aspettavo
più».
Certo, non le mancherà l’affetto di chi l’ha seguita negli
ultimi tempi. Il dottor Baraldi, la coordinatrice della comunità San
Cataldo Manuela Caraffini, i volontari della struttura vanno spesso a
trovarla nella sua nuova casa che dista solo pochi chilometri: «Continua
a dirci che adesso è felice – spiega Caraffini – ma anche che è
dispiaciuta perché con noi stava bene, eravamo la sua famiglia, che le
manchiamo. Ma Germana è una donna forte, ha finalmente abbattuto il muro
che ha sconvolto la sua esistenza. La sua storia dimostra che
l’intuizione di Basaglia è stata determinante. In un manicomio lei non
sarebbe mai riuscita a vincere, adesso merita di godersi quella vita che
con lei non è mai stata generosa».