giovedì 17 maggio 2018

Repubblica 17.5.18
La violenza di Sorrento
Fate silenzio, lo stupratore è italiano
di Michela Marzano


La notizia dell’arresto di cinque dipendenti di un hotel di Sorrento, che nell’ottobre del 2016 avevano drogato e violentato una turista inglese di una cinquantina d’anni, risale a qualche giorno fa. Le prove a disposizione degli inquirenti sono schiaccianti. Compresa una chat denominata “cattive abitudini” dove i membri del branco, tutti italiani, condividendo video e foto dello stupro di gruppo, non hanno esitato a scherzare in modo volgare dileggiando la vittima: «ci siamo fatti una nonnina», e via di seguito. Ne hanno scritto i giornali, se ne è parlato in tv, si è commentato sui social.
Praticamente nessun leader politico, però, sembra essersi sentito in dovere di condannare esplicitamente l’accaduto: fatti, atteggiamenti e parole che non ho alcuna remora a definire “barbari”.
Perché? Sarebbe successo lo stesso se gli aggressori fossero stati stranieri?
Non era stata forse unanime la condanna quando, nell’agosto 2017, quattro giovani nordafricani avevano aggredito una coppia di polacchi o quando, lo scorso settembre, una turista finlandese era stata stuprata da un bengalese?
La memoria fa spesso brutti scherzi, certo, ma è difficile dimenticare le dichiarazioni di un Matteo Salvini che su Facebook, all’indomani dei fatti di Rimini, dopo aver definito gli aggressori «vermi», non esitava a parlare di «castrazione chimica»; o le polemiche contro l’allora presidente della Camera Laura Boldrini dopo il post del leghista Siorini che accusava lei, e en passant le femministe, di tacere per difendere gli immigrati. Dove sono finiti ora tutti coloro che si sono scandalizzati di fronte alle violenze sessuali commesse dagli stranieri? I fatti sono meno gravi quando a commetterli è un branco di italiani?
Sarebbe utile per tutti fare un esame di coscienza, ma anche chiarezza su ciò che è in gioco quando si parla di stupri, vittime e colpevoli: la gravità dei fatti non cambia a seconda della nazionalità o del colore della pelle di chi li commette; è sempre inaccettabile e condannabile l’atteggiamento di chi viola l’intimità di un’altra persona, la stupra e non ne rispetta la dignità; ogni vittima merita il massimo rispetto; ogni colpevole, nonostante sia colpevole e debba assumersi la responsabilità dei propri gesti e pagare per i crimini commessi, continua a dover essere trattato come un essere umano. Sono cose evidenti, banali, che non dovrebbero nemmeno essere ricordate. Ma quando si assiste, in certi casi, a reazioni spropositate e, in altri, all’assenza totale di condanna, sorge il sospetto che stiano venendo meno le basi del vivere-insieme. C’è chi reagisce solo quando i colpevoli sono stranieri e tace di fronte ai crimini dei connazionali, come se condannare lo stupro di un branco di italiani portasse pregiudizio all’immagine del Paese. C’è chi esita, al contrario, a prendere la parola quando i colpevoli sono stranieri, per evitare forse di compromettere il processo di integrazione. In entrambi i casi, però, non si aiuta un Paese a crescere culturalmente ed eticamente. Lo stupro di una donna è sempre un crimine. Nessuno dovrebbe mai anche solo immaginare di poter trattare una persona come un semplice oggetto. Chi rappresenta le istituzioni dovrebbe saperlo, e mostrare l’esempio, e avere il coraggio di prendere sempre la parola per condannare i colpevoli di atti di barbarie indipendentemente dalla loro nazionalità. È una questione di civiltà. Ma anche di rispetto nei confronti di chi, da un leader politico, si aspetta coerenza e dignità.