giovedì 17 maggio 2018

il manifesto 17.5.18
I barbari contro le sentinelle del sistema
di Michele Prospero


Nelle trattative per definire il contratto di governo, con la volontà di costituzionalizzare la figura dei “capi partito”, la sensazione di un grado zero della politica si fa più forte. A cominciare dalla metamorfosi di non-partiti che dall’intransigenza assoluta (niente compromessi, e negoziati) virano verso la ricerca di accordi con chiunque dia una mano a entrare nel Palazzo.
E viene istituito un parallelo “comitato per la conciliazione”, svelando così la consistenza culturale reale degli attori della nuova politica.
Ma se delle nullità politiche oggi giocano il ruolo di attori dominanti nel dramma italiano, questo è accaduto perché quelli che avrebbero dovuto fornire delle più credibili alternative sono crollati, rivelandosi personaggi mediocri di una commedia senza lieto fine. La povertà della politica ufficiale è ancor più disarmante delle pacchiane esibizioni istituzionali dei capi della coalizione verde-giallo nella stesura del contratto per dichiarare guerra agli “eurocrati” per la remissione dei debiti.
Un esponente del Pd, che ha dato il nome alla vigente legge elettorale, svela come proprio la follia dei politici normali sia la principale ragione del successo dei politici irregolari. «Alleanza M5s-Lega? Noi del Pd abbiamo una grandissima opportunità: prendere i voti che sono stati dati ai 5 Stelle. Dobbiamo provare a convincere gli elettori M5s che siamo molto più coerenti dei 5 Stelle che avevano come unico obiettivo quello di sedersi a Palazzo Chigi».
Proprio mentre le cancellerie tremano dinanzi alla velleità di abbandonare l’euro e gli organi della finanza internazionale sono in allarme per i moderni barbari, lo stato maggiore del Pd gongola perché il governo peggiore rappresenta “una grandissima opportunità”. Dove è il pericolo allora, negli ideologi della ruspa e del rosario che con le loro alchimie sfasceranno lo Stato o nelle sentinelle del sistema che giocano tutte le carte nell’aspettare il fallimento dei barbari?
Molti osservatori si interrogano sulla decadenza di una grande democrazia d’occidente che affida il governo all’inesperienza. Ma c’è in questo timore dell’annichilimento una omissione. Sono stati i “normali” ad aver varato “governi dei senza retroterra” con personalità alle prime armi collocate nei dicasteri chiave. Se per fare il presidente del consiglio “normale” basta avere come ideologia la rottamazione e alle spalle qualche seduta del consiglio comunale a Palazzo Vecchio, come si può arginare l’ascesa al comando degli oscuri ministri e “premier esecutori” reclutati nelle reti occulte dei non-partiti?
Da Veltroni che nominò sul campo Madia e Picierno, in nome proprio della loro rivendicata e assolta inesperienza, a Renzi che ha portato al governo Lotti, Boschi e la ristretta compagnia gigliata, tutto è stato allestito per la mistica del marketing politico che richiede comparse, non dirigenti. Oggi che la dissoluzione del senso della politica come cosa complessa è da ritenersi completa perché “uno vale uno”, andrebbe meditato un pensiero di Hans Kelsen.
Il giurista di Praga scriveva che «la supposizione demagogica che tutti i cittadini siano ugualmente atti ad esercitare qualsiasi funzione politica finisce col ridursi alla semplice possibilità per i cittadini di essere resi atti ad esercitare ogni funzione politica. L’educazione alla democrazia diviene una delle principali esigenze della democrazia stessa». La demagogia, che è già in Aristotele la forma di degenerazione della democrazia, recita che non c’è bisogno di politici ma di portavoce, che non servono statisti ma “cittadini punto e basta”.
Questa ideologia, che i cinque stelle hanno solo raccolto e portato a compimento, ha distrutto, con i partiti quali luoghi di formazione della classe dirigente mossa da idealità, la democrazia italiana, la capacità di governare la grande crisi.
Ad uccidere la politica, è stata anzitutto la grande borghesia che, nella sua stampa, ha inventato ed esportato nel mondo la parola “casta”, raccolta da tutti i movimenti populistici che raffigurano la politica come autocrazia, chiusura in una sfera repressiva di privilegio.
Il trionfo della borghesia antipartito, che ora mostra segni di nervosismo per il disastro da essa stessa procurato, non ci sarebbe però stato se, da Occhetto ai suoi successori, non fosse stato decostruito alla radice il grande partito di massa e quindi abbandonata la cultura politica che, soprattutto nei momenti critici, trattiene, orienta, dirige.
Il sociologo De Masi, come l’economista Sapelli vengono dal Pci e sono la trasparente prova di quante schegge siano schizzate fuori dalla distruzione della cultura politica comunista.
Che fare? Ricominciare dai fondamenti, dalla cultura, dalla lenta riprogettazione della politica organizzata.