Repubblica 17.5.18
Le disuguaglianze
Il destino dei bambini poveri
di Chiara Saraceno
Nascere
e crescere poveri riduce fortemente le possibilità di godere di buona
salute. C’è, ad esempio, una correlazione tra povertà e obesità nei
bambini e ragazzi. Ma essere poveri riduce anche la possibilità di
sviluppare appieno le proprie capacità, a partire da quelle cognitive. I
bambini delle famiglie più povere hanno infatti, rispetto ai loro
coetanei, una forte probabilità di fallimento scolastico, rischiano di
lasciare precocemente la scuola e di non raggiungere livelli minimi di
apprendimento in italiano e matematica. Le disuguaglianze quindi si
formano e riproducono già nell’infanzia, lasciando il loro imprinting
non solo sulle risorse disponibili, ma sui corpi e le menti dei più
piccoli. Questo svantaggio riguarda in Italia più di un minore su dieci,
se ci si limita alla povertà assoluta, percentuali più alte se si
allarga lo sguardo ad altre forme di deprivazione.
Si tratta in prevalenza di italiani, anche se tra gli stranieri l’incidenza è più alta.
Non
ci si può quindi sorprendere che alcuni bambini e ragazzi si ribellino a
questa ingiustizia sfidando, anche violentemente, la società che,
inchiodandoli alle loro condizioni famigliari, sociali, di quartiere,
nega loro le opportunità di crescere.
La buona notizia è che non
si tratta di un destino ineluttabile, contro il quale non si può fare
nulla. Lo ricordava qualche giorno fa su questo giornale Marco
Rossi-Doria e lo mostra il Rapporto 2018 di Save the Children
“Illuminiamo il futuro” dedicato ai bambini e ragazzi che “nuotano
contro la corrente”. Anche quelli che vivono in famiglie e quartieri
poveri e in contesti in cui può essere forte la tentazione di prendere
scorciatoie per sfogare la frustrazione o farsi valere, possono maturare
la pazienza necessaria per investire sul proprio sviluppo, per dedicare
energie a quel progetto di lungo periodo che è lo sviluppare le proprie
capacità. Purché incontrino luoghi, persone, esperienze accoglienti e
capaci di riconoscere e far fiorire le attitudini.
Non sempre
basta avere genitori straordinari, capaci di trasmettere ai figli quella
che l’antropologo Appadurai ha chiamato la capacità di aspirare
nonostante la povertà e le condizioni obiettive di emarginazione. È
importante anche la disponibilità precoce, già nella primissima
infanzia, di servizi educativi che aiutino a liberare e arricchire le
potenzialità dei bambini. È necessaria una scuola capace (e con le
risorse necessarie) di accogliere, motivare, sostenere chi non ha alle
spalle contesti famigliari e sociali favorevoli e che non concentri
negli stessi spazi i bambini e ragazzi più disagiati. Ma sono anche
importanti contesti e comunità locali in grado di offrire a questi
bambini e ragazzi non solo “luoghi sicuri”, ma luoghi, attività di vario
genere, relazioni, che arricchiscano la loro esperienza, facendo così
maturare sia il loro interesse, sia le loro capacità, cognitive,
emotive, relazionali, estetiche, analogamente a quanto avviene ai loro
coetanei più fortunati. Che li facciano diventare resilienti, per usare
un termine oggi di moda. Perché la resilienza non è né naturale né
gratuita. Va coltivata da una comunità che da un lato offre opportunità
educative formali e informali ai più vulnerabili tra i bambini e
ragazzi, dall’altro lato, oltre a garantire un livello minimo di reddito
a chi si trova in povertà, si preoccupa di costruire condizioni di
contesto — lavoro, sicurezza, abitazioni decenti — che non mettano in
scacco la resilienza e la capacità di aspirare faticosamente
conquistate.