Repubblica 14.5.18
Il ruolo della sinistra
Come capire il populismo per batterlo
di Nadia Urbinati
Nell’intervista
rilasciata a Repubblica, Maurizio Martina afferma: «Di fronte alla
nascita del governo più a destra della storia recente, è giusto dirsi
che non basteranno gli anatemi: dobbiamo costruire un’alternativa
popolare alla saldatura tra Lega e M5S superando le divisioni del
passato, allargando ad energie nuove, ribadendo il nostro ruolo da
protagonisti nel campo progressista». Sono ottime e opportune parole.
Martina propone di rompere questa dannosa e inutile litania di
contumelie contro il populismo, una parola così ambigua da essere
piegata alle convenienze di chi la usa, giusificando la faciloneria e
l’indolenza mentale.
La Spd, che versa in una crisi non celabile
anche se meno dirompente di quella degli altri partiti fratelli, ha
avviato un programma di studi sui nuovi movimenti che vanno sotto il
nome di populismo. I socialdemocratici tedeschi sono un partito, e
questa loro identità la si vede e apprezza proprio nei casi di crisi,
ovvero quando si tratta di trovare risorse, umane e culturali, per
riaprire le finestre sul mondo.
Nella sua storia, che è parte
della storia della democrazia, il populismo ha dimostrato che in alcuni
casi, ovvero dove ci sono istituzioni democratiche (come negli Stati
Uniti di fine Ottocento), la sua protesta può riuscire a scuotere
l’ordine socio-politico, a rimescolare le carte e riportare in alto
quelli che sono stati spinti in basso. Vi è nell’anti-establishment
populista una coniugazione radicale di un principio che è democratico.
Infatti la dialettica opposizione/maggioranza sulla quale vivono le
democrazie presume il discorso contro l’establishment, usato dai partiti
di opposizione quando aspirano a conquistare la maggioranza.
Quel
che la democrazia rappresentativa non presume, è ritenere, come molti
populisti radicali fanno, che l’establishment corrisponda a una classe
definita ancora prima della competizione, che sia cioé una “casta” ex
ante e immobile.
Ecco perché ogni ricerca che voglia capire questo
tempo di movimenti populisti deve ritornare alle categorie fondamentali
della democrazia: all’eguaglianza, che è di opportunità e di dignità;
alla libertà, che non è goduta dagli identici ma da tutti coloro che
vivono sotto un ordinamento giuridico, siano essi connazionali o non.
Tra i fondamenti, vi sono anche quelle istituzioni di limitazione del
potere, l’autonomia della magistratura, per esempio, o degli apparati
dello Stato e della banca centrale.
Dal 1945 in Italia tutto questo prende il nome di democrazia costituzionale.
Tornare
ai fondamenti quindi, ma avendo cura di portare lo sguardo oltre le
procedure e le istituzioni, poiché la democrazia fa promesse di
auto-governo, di dignità sociale, di eguaglianza e di miglioramento
economico. Queste promesse, anche se mai completamente realizzate,
devono farci comprendere appieno che un partito democratico o di
sinistra non può concentrare la sua azione ai diritti civili; esso non è
un partito liberale. A Martina come a tutti coloro che dentro e fuori
il Pd sentono la responsabilità della loro sconfitta per reagire ad
essa, dovremmo suggerire di abbracciare in toto l’Articolo 3 della
nostra Costituzione, ricchissimo di implicazioni e complesso.
Già questo sarebbe un buon indizio di determinazione alla rinascita.