martedì 8 maggio 2018

l’espresso 6.5.18
Timbuctu ritrovata
La furia dell’Isis si è scagliata contro la mitica biblioteca. Ma quel sapere prezioso rinasce ora grazie a Boubacar Sadeck, l’ultimo grande calligrafo
di Andrea De Georgio


Boubacar intinge un bastoncino di legno nell’inchiostro nero pece di un barattolo. Col palmo della mano accarezza più volte il foglio adagiato sulle gambe per assicurarsi che non ci siano granelli di sabbia prima di cominciare a tracciare linee e punti. Attorno a lui alcuni bambini di diverse età ne osservano con attenzione i gesti pacati, cercando d’imitare i tratti del maestro. Timbuctu, perla del deserto a nord del Mali. A pochi passi dalla famosa moschea di sabbia di Djinguereber (XIV secolo) fra i vicoli stretti della Medina le tipiche case d’architettura marocchina si susseguono ordinate, con porte e finestre di legno intarsiato. In una di queste costruzioni a due piani ha vissuto Alexander Gordon Laing, esploratore scozzese, primo europeo arrivato a Timbuctu nel 1826, come ricorda, sopra l’entrata, una sbiadita targa turistica. Oggi questo piccolo edificio del centro ospita l’“Atelier delle arti e mestieri del copista applicate ai manoscritti” di Boubacar Sadeck, ultimo calligrafo della Città Misteriosa. «La calligrafia è un’arte che richiede pazienza. Nel mondo di oggi, invece, i giovani non hanno voglia di aspettare». Parla e si muove lentamente, Sadeck, senza staccare lo sguardo dal manoscritto che tiene in mano. È un uomo sulla quarantina dal portamento elegante, avvolto nell’ampio boubou, veste tradizionale, e nel turbante che gli protegge il volto dal vento del deserto. Seduto a fianco a lui sulla stuoia adagiata sul pavimento del cortile il suo assistente osserva il lavoro degli allievi. Sui muri all’entrata e nella stanza che dà sullo stretto cortile sono appese le opere del maestro: cornici, arabeschi, pelli di montone e lastre di sale dipinte con iscrizioni ricopiate dai manoscritti antichi. Su un tavolo impolverato sono disposte alcune pagine ingiallite del XVI e XVII secolo, un piccolo museo con esempi dei quattro principali stili di scrittura (orientale, saharawi, suqui e marocchina) dei manoscritti antichi, tesoro nascosto della città. Timbuctu raggiunse l’apice nel XVI secolo, l’ “Età dell’Oro” come viene ricordata dai suoi abitanti, sfruttando la favorevole posizione geografica sulla rotta delle carovane che facevano la spola dal Mediterraneo all’Africa occidentale trasportando preziosa mercanzia: sale, oro e libri. Riscopertasi importante snodo commerciale la città, adagiata fra il deserto del Sahara e il fiume Niger, divenne una delle più grandi biblioteche a cielo aperto del pianeta, con oltre 25 mila studenti e ricercatori stranieri. Un corpus di diverse centinaia di migliaia di manoscritti antichi (i più vecchi risalgono al IX secolo) fu ricopiata in arabo, ma anche in diverse lingue africane e in ebraico da una schiera di scribi assoldati da abbienti famiglie della città. Una catena di calligrafi, studiosi e commentatori ha così permesso la trasmissione di un inestimabile sapere che spazia dalla medicina alla poesia, dall’astronomia alla matematica, dalle relazioni internazionali alla religione - ino ai giorni nostri. «A differenza del passato, oggi il lavoro del copista non è considerato nobile perché non è redditizio. Per questo sono rimasto praticamente il solo a praticarlo, qui a Timbuctu. Negli ultimi anni molti calligrafi hanno cambiato lavoro oppure sono andati in pensione senza riuscire a lasciare il proprio mestiere in eredità ai figli». Boubacar racconta la fatica nel trovare clienti oltre che giovani da formare. «Prima della guerra era diverso. Coi tanti turisti che visitavano la città riuscivamo a vivere bene del nostro lavoro». Oggi, invece, a cinque anni dal conflitto franco-maliano contro i jihadisti di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) che nel 2012 occuparono i due terzi settentrionali del Paese, il persistere dell’insicurezza, degli attentati suicidi e dei rapimenti di occidentali non permettono il ritorno della pace e del turismo, settore economico che dava da vivere a moltissime famiglie. Ultimamente le opere calligrafiche di Sadeck sono state esposte in numerose mostre di arte contemporanea in giro per il mondo: da Atene, per Documenta14, e ino al 20 maggio a Treviso, per una mostra sulla calligrafia in Mali, Niger, Algeria e Libia che ha inaugurato le Gallerie delle Prigioni, nuovo spazio espositivo di Imago Mundi. Nonostante la ribalta internazionale, però, Boubacar non riesce a trovare fondi per il suo centro di formazione che, racconta, «sarà presto destinato a chiudere i battenti». Preoccupato delle sorti dell’atelier di Sadeck alle prese con la modernità è anche Hamou Dédéou, uno dei maggiori esperti di manoscritti della città. Nella sua casa, fra una lezione di arabo e l’altra, l’anziano professore di Boubacar e di tanti altri igli di Timbuctu spiega il valore della calligrafia: «Quando si ricopia un testo a mano, è tutto lo spirito che lavora e concorre alla creazione di un oggetto, il libro, che si nutre dei sentimenti di chi scrive. Ecco perché leggendo e sfogliando un manoscritto si sente subito la magia che contiene. Una fotocopia, invece, è solo un’immagine di un’immagine. È comodo avere una copia istantanea di un testo, ma un foglio che esce da una macchina non ha anima». Hamou cita Leone L’Africano, il quale sosteneva che la ricchezza più ingente di Timbuctu fossero proprio i suoi testi. «I manoscritti sono la carta d’identità di Timbuctu. Sono come una torcia che ci permette di sapere cosa eravamo e dove stiamo andando. Sono il nostro computer. Nei libri è contenuto l’intero sapere del genere umano, non solo le basi dell’Islam: tutto è spiegato, perino il radicalismo e le dinamiche internazionali contemporanee. Basta saper cercare». Per sette anni questo studioso ha lavorato all’Istituto di Alti Studi e Ricerca Islamica Ahmed Baba, la più grande biblioteca pubblica della città, situata nella piazza della Moschea di Sankoré. Q uesta istituzione creata dal governo maliano nel 1973 con la missione di salvaguardare e collezionare i manoscritti della regione, nel 2009 è stata ristrutturata e dotata di tecnologie avanzate (sale refrigerate, deumidiicatori, teche protettive) per la conservazione dei tomi grazie a un inanziamento del Sudafrica di 6 milioni di euro. Nel gennaio 2013, alla vigilia della cacciata di Aqmi dalla città, i jihadisti hanno attaccato il centro. «I “Folli di Dio” hanno prelevato dai nostri locali 4.202 libri, bruciandone un migliaio sul posto e portando via tutti gli altri». Abdoulakri Idrissa Maiga è direttore dell’Istituto dedicato al grande intellettuale di Timbuctu Ahmed Baba. Nel suo ufficio di Bamako, capitale del Mali situata mille chilometri più a sud, Maiga supervisiona i lavori di digitalizzazione. Nella palazzina un gruppo di giovani è incaricato della pulizia e catalogazione dei testi, che vengono fotografati e schedati pagina per pagina. La collezione di questo organismo statale conta circa 50 mila opere, di cui 10.602 si trovano a Timbuctu mentre le altre sono state portate a Bamako fra il 2012 e il 2013, nascoste in casse di ferro e tratte in salvo dalla popolazione, poi trasportate in capitale su moto, piroghe e a dorso di mulo. Un salvataggio leggendario e organizzato in piena occupazione jihadista da tre “eroi” della città: Maiga, Ismael Haidara, il direttore del Fondo Kati, collezione andalusa di manoscritti di Timbuctu, e Abdalkhader Haidara, presidente dell’ong maliana Savama-DCI. Quest’ultimo con la sua associazione ha trasportato a Bamako più di 380mila manoscritti della propria e di altre famiglie di Timbuctu, riuscendo ad ottenere negli ultimi anni ingenti finanziamenti per progetti di salvaguardia dei testi di cui dispone.«Ad oggi abbiamo completato circa 1’80 per cento della catalogazione e metà della digitalizzazione», annuncia Abdalkhader Haidara. Nei locali di Bamako giovani con guanti di lattice e grembiuli blu si aggirano fra le sale di stoccaggio, pulitura e digitalizzazione dei manoscritti. Corre voce che recentemente Savama abbia raggiunto un accordo con Google per la cessione dei diritti di divulgazione di alcuni testi antichi di Timbuctu. «Ma le trattative sono lunghe», spiega Haidara. Il colosso di Internet starebbe negoziando la quantità di manoscritti da rendere consultabili online. L’Istituto Ahmed Baba, invece, pare abbia riiutato la proposta economica di Google. Nel frattempo molti progetti di conservazione e digitalizzazione stanno vedendo la luce anche in alcune biblioteche private di Timbuctu recentemente ristrutturate con fondi dell’Unesco e della Minusma, la missione di stabilizzazione dell’Onu in Mali. È il caso, ad esempio, della libreria della famiglia dell’imam Ben Essayouti, che si trova di fronte alla Moschea di Djingareiber. Una collezione di 4mila testi antichi da poco tornati nella struttura danneggiata da tre autobombe esplose nelle vicinanze e appena ricostruita dalla Minusma. Qui è in corso un progetto di digitalizzazione inanziato dalla British Library e dall’Ambasciata americana in Mali che ha dotato la piccola biblioteca di apparecchiature fotograiche ad altissima deinizione come quelle installate a Savama e nella sede di Bamako dell’istituto Ahmed Baba. L’harmattan, impietoso vento del Sahara, soffia sabbia nel cortile dell’atelier di Sadeck. «In giornate così non si può lavorare». Il maestro si aggiusta il turbante e fa cenno ai bambini di chiudere i blocchi di fogli. Sul muro dello studio, fra una poesia di Ahmed Baba e un versetto del Corano, le parole senza tempo del Califo di Cordova al-Qasim al-Ma’mun (XI secolo): “Le stelle della saggezza brillano nelle profondità dell’inchiostro”