martedì 8 maggio 2018

l’espresso 6.5.18
Eugenio Scalfari
Il vetro soffiato
L’io economico di Carlo Marx
L’impulso ad accumulare ricchezza fa parte degli istinti fondamentali dell’uomo, come quello di sopravvivenza. Ma il desiderio è qualcosa di superiore


Massimo Cacciari, su questo nostro giornale della scorsa settimana, ha battezzato Carlo Marx con l’appellativo di “Economico” sostenendo che la politica e l’ideologia marxista sono state certamente assai importanti nella storia degli ultimi 150 anni, ma non quanto il pensiero economico di quel personaggio che non soltanto ha mobilitato masse sterminate di popoli ma soprattutto ha spiegato qual è l’istinto fondamentale che ha scosso l’umanità in dai tempi della sua nascita. Non è una scoperta quella di Cacciari, che però introduce una questione di importanza massima: l’“Economico” mettendo in luce ciò che è avvenuto nei tempi moderni, quando l’economia ha concentrato gran parte della sua sostanza nella moneta e quindi sui fenomeni del capitalismo nel bene e nel male. Questo è il punto che mescola il marxismo politico alla teoria economica di un Marx filosofo di livello non certo inferiore a Hobbes, a Fichte, a Kant, a Leibniz, a Hegel e insomma i più profondi venuti dopo Cartesio e dopo l’Illuminismo di Diderot, Voltaire, Rousseau, d’Holbach e Condorcet. Tutto bene esposto? L’“Economico” descrive non soltanto l’importanza intellettuale di Marx ma della nostra specie così come è diventata nei tempi moderni? Sì, l’autore descrive bene queste varie posizioni. Sono tentato di ricordare ciò che accadde tra la regina Elisabetta la Grande e il corsaro inglese Francis Drake, il quale navigava con le sue navi sulle rotte battute dai galeoni spagnoli che tornavano dall’America meridionale carichi d’oro e d’argento. Drake le avvistava e le attaccava all’improvviso, trasportando l’oro sulle proprie navi e lasciando i galeoni alla ventura. Poi tratteneva per sé una parte dell’oro di cui si era appropriato e consegnava alla regina il grosso di quel metallo prezioso. La regina apprezzò molto queste frequenti imprese di Drake e lo nominò addirittura baronetto e quindi con il possibile accesso alla Camera dei Lord ad una condizione però: che lui continuasse a fare il corsaro. Così avvenne e questa è una storia assai divertente ma che insegna anche le differenze di comportamenti che si ripetono molto spesso. Questa differenza emerge anche nel racconto di Cacciari quando segnala la differenza profonda tra l’aspetto politico della dottrina di Marx e l’importanza dell’“Economico” marxiano. Ma… Quel ma, ovviamente, ha un suo significato: la cupidigia per la ricchezza e la sua importanza nella vita del mondo intero comunque non risolve la differenza tra l’impegno politico e quello filosofico di Marx. Non è una scoperta filosofica, ma un istinto. Gli istinti, come sappiamo, sono le caratteristiche fondamentali di tutte le specie viventi, in particolare quelli propri della specie nostra. Noi siamo dominati dall’istinto di sopravvivenza il che implica che ciascuno di noi vuole diventare sempre più forte e potente, quale che sia la condizione sociale nella quale è nato e vive. La forza di questo istinto fa nascere contrasti, lotte, guerre, ma anche alleanze e amicizie. Così si svolge a vari livelli la nostra vita ed emerge da quell’istinto anche il bisogno di soddisfare alcuni desideri. Il desiderio non è un bisogno ma qualche cosa di più: un’aspirazione che l’istinto non sente ma il desiderio sì e proviene da una questione di fondo che ci contraddistingue dalle altre specie: l’Io che dà a ciascuno di noi un bisogno suppletivo che accresce la nostra tendenza ad allargare il cerchio dei bisogni aggiungendovi quello dei desideri. L’Io è il depositario dell’istinto di sopravvivenza e lo soddisfa appunto con la conquista di quanto è necessario per soddisfare l’istinto di sopravvivenza: soddisfare il bisogno di cibo, la conquista di territorio, la sconitta di chi vi si oppone con analoghi e contrastanti bisogni e desideri. Di qui lotte e collaborazioni, odio e amicizia, guerre e paci, odio e amo - re, libertà e schiavitù. Questo è l’uomo, questa la nostra specie da quando l’uomo nacque con gli istinti che abbiamo segnalato. Per completare il disegno dobbia - mo aggiungere che l’istinto di sopravvivenza è duplice: riguarda anzitutto se stesso, poi le persone a noi più amorevolmente vicine ed inine, in modo non vistoso ma pur sempre esistente, la propria specie nel suo complesso. Quest’aspetto dell’istin - to di sopravvivenza lo sentiamo in vari modi: fatalità, pietà, misericordia, comunanza con il prossimo ed inine speranza di essere beneicato dopo la morte. Qui nasce il sentimento religioso che sostiene quella che può chiamarsi la fede in Dio. Fa parte degli istinti che tendono ad affrancarsi dalla morte, anche se spesso quell’istinto di sopravviven - za resta deluso o comunque assai incerto e spesso negato a dispetto dell’istinto il quale, tra le tante, contiene anche questa: il bisogno di certezza. Questo bisogno fa tutt’uno con l’istinto di sopravvivenza: come essere certi. Se l’istinto è forte la certezza c’è, ma è una certezza della quale manca la prova e perciò l’appoggio dell’istinto è manchevole. Cessa d’essere istinto, diventa desiderio e tale resta. Nell’antica mitologia di carattere ellenico il dio dei desideri era Eros, e anche il solo che possa appagarli. Se e quando li appaga, l’amore ci dà quella certezza che l’istinto puro e semplice non ci dà. I desideri non sono istinti ma sentimenti: un’altra cosa che ci rende più liberi e più responsabili.