l’espresso 6.5.18
Eugenio Scalfari
Il vetro soffiato
L’io economico di Carlo Marx
L’impulso
ad accumulare ricchezza fa parte degli istinti fondamentali dell’uomo,
come quello di sopravvivenza. Ma il desiderio è qualcosa di superiore
Massimo
Cacciari, su questo nostro giornale della scorsa settimana, ha
battezzato Carlo Marx con l’appellativo di “Economico” sostenendo che la
politica e l’ideologia marxista sono state certamente assai importanti
nella storia degli ultimi 150 anni, ma non quanto il pensiero economico
di quel personaggio che non soltanto ha mobilitato masse sterminate di
popoli ma soprattutto ha spiegato qual è l’istinto fondamentale che ha
scosso l’umanità in dai tempi della sua nascita. Non è una scoperta
quella di Cacciari, che però introduce una questione di importanza
massima: l’“Economico” mettendo in luce ciò che è avvenuto nei tempi
moderni, quando l’economia ha concentrato gran parte della sua sostanza
nella moneta e quindi sui fenomeni del capitalismo nel bene e nel male.
Questo è il punto che mescola il marxismo politico alla teoria economica
di un Marx filosofo di livello non certo inferiore a Hobbes, a Fichte, a
Kant, a Leibniz, a Hegel e insomma i più profondi venuti dopo Cartesio e
dopo l’Illuminismo di Diderot, Voltaire, Rousseau, d’Holbach e
Condorcet. Tutto bene esposto? L’“Economico” descrive non soltanto
l’importanza intellettuale di Marx ma della nostra specie così come è
diventata nei tempi moderni? Sì, l’autore descrive bene queste varie
posizioni. Sono tentato di ricordare ciò che accadde tra la regina
Elisabetta la Grande e il corsaro inglese Francis Drake, il quale
navigava con le sue navi sulle rotte battute dai galeoni spagnoli che
tornavano dall’America meridionale carichi d’oro e d’argento. Drake le
avvistava e le attaccava all’improvviso, trasportando l’oro sulle
proprie navi e lasciando i galeoni alla ventura. Poi tratteneva per sé
una parte dell’oro di cui si era appropriato e consegnava alla regina il
grosso di quel metallo prezioso. La regina apprezzò molto queste
frequenti imprese di Drake e lo nominò addirittura baronetto e quindi
con il possibile accesso alla Camera dei Lord ad una condizione però:
che lui continuasse a fare il corsaro. Così avvenne e questa è una
storia assai divertente ma che insegna anche le differenze di
comportamenti che si ripetono molto spesso. Questa differenza emerge
anche nel racconto di Cacciari quando segnala la differenza profonda tra
l’aspetto politico della dottrina di Marx e l’importanza
dell’“Economico” marxiano. Ma… Quel ma, ovviamente, ha un suo
significato: la cupidigia per la ricchezza e la sua importanza nella
vita del mondo intero comunque non risolve la differenza tra l’impegno
politico e quello filosofico di Marx. Non è una scoperta filosofica, ma
un istinto. Gli istinti, come sappiamo, sono le caratteristiche
fondamentali di tutte le specie viventi, in particolare quelli propri
della specie nostra. Noi siamo dominati dall’istinto di sopravvivenza il
che implica che ciascuno di noi vuole diventare sempre più forte e
potente, quale che sia la condizione sociale nella quale è nato e vive.
La forza di questo istinto fa nascere contrasti, lotte, guerre, ma anche
alleanze e amicizie. Così si svolge a vari livelli la nostra vita ed
emerge da quell’istinto anche il bisogno di soddisfare alcuni desideri.
Il desiderio non è un bisogno ma qualche cosa di più: un’aspirazione che
l’istinto non sente ma il desiderio sì e proviene da una questione di
fondo che ci contraddistingue dalle altre specie: l’Io che dà a ciascuno
di noi un bisogno suppletivo che accresce la nostra tendenza ad
allargare il cerchio dei bisogni aggiungendovi quello dei desideri. L’Io
è il depositario dell’istinto di sopravvivenza e lo soddisfa appunto
con la conquista di quanto è necessario per soddisfare l’istinto di
sopravvivenza: soddisfare il bisogno di cibo, la conquista di
territorio, la sconitta di chi vi si oppone con analoghi e contrastanti
bisogni e desideri. Di qui lotte e collaborazioni, odio e amicizia,
guerre e paci, odio e amo - re, libertà e schiavitù. Questo è l’uomo,
questa la nostra specie da quando l’uomo nacque con gli istinti che
abbiamo segnalato. Per completare il disegno dobbia - mo aggiungere che
l’istinto di sopravvivenza è duplice: riguarda anzitutto se stesso, poi
le persone a noi più amorevolmente vicine ed inine, in modo non vistoso
ma pur sempre esistente, la propria specie nel suo complesso.
Quest’aspetto dell’istin - to di sopravvivenza lo sentiamo in vari modi:
fatalità, pietà, misericordia, comunanza con il prossimo ed inine
speranza di essere beneicato dopo la morte. Qui nasce il sentimento
religioso che sostiene quella che può chiamarsi la fede in Dio. Fa parte
degli istinti che tendono ad affrancarsi dalla morte, anche se spesso
quell’istinto di sopravviven - za resta deluso o comunque assai incerto e
spesso negato a dispetto dell’istinto il quale, tra le tante, contiene
anche questa: il bisogno di certezza. Questo bisogno fa tutt’uno con
l’istinto di sopravvivenza: come essere certi. Se l’istinto è forte la
certezza c’è, ma è una certezza della quale manca la prova e perciò
l’appoggio dell’istinto è manchevole. Cessa d’essere istinto, diventa
desiderio e tale resta. Nell’antica mitologia di carattere ellenico il
dio dei desideri era Eros, e anche il solo che possa appagarli. Se e
quando li appaga, l’amore ci dà quella certezza che l’istinto puro e
semplice non ci dà. I desideri non sono istinti ma sentimenti: un’altra
cosa che ci rende più liberi e più responsabili.