martedì 8 maggio 2018

l’espresso 6.5.18
La traversata del deserto/5
La discussione sulla sinistra prosegue qui con l’intervento di Loris Caruso (ricercatore in sociologia politica alla Scuola Normale Superiore) e di Davide Vittori (collaboratore del Cise, Centro italiano di studi elettorali). Entrambi sono animatori de Il Cantiere delle idee.
Nostalgia dello Stato
Quali paure e quali speranze ha oggi “il popolo”? Una ricerca sul campo ipotizza alcune risposte. Di cui ogni futura sinistra dovrebbe tenere conto
di Loris Caruso e Davide Vittori


La crisi delle socialdemocrazie europee si è concretizzata nelle urne nell’ultimo quinquennio, ma ha radici più lontane. I partiti socialdemocratici non hanno tentato semplicemente di divenire il partito della classe media. Dagli anni ’90 hanno cessato di essere alternativi ai partiti conservatori e liberali. Sono diventati parte di un “cartello elettorale” ben introdotto nelle élite economiche e sempre più privo di base sociale. Non sorprende quindi che durante la recessione siano stati partiti esterni a questo “cartello” ad aver denunciato la sostanziale indifferenza tra le varie proposte offerte dai partiti socialisti. Da un lato, la congiuntura economica e la cosiddetta crisi migratoria hanno fornito ai partiti della destra radicale la perfetta combinazione di welfare nazionalistico e valori tradizionalisti (se non xenofobi). Dall’altro, in alcuni Paesi nuove forze a sinistra della socialdemocrazia hanno catalizzato il malcontento nei confronti di politiche economiche restrittive, proponendo una variante inclusiva e progressista di “populismo”: Podemos, Syriza, La France Insoumise, il Blocco di Sinistra (in Portogallo), il Labour di Jeremy Corbyn e partiti come i GroenLinks olandesi e il Partito dei Lavoratori del Belgio, hanno ottenuto risultati elettorali significativi contrapponendo al nazionalismo della destra proposte capaci di attrarre un elettorato eterogeneo. La corruzione, il rinnovamento delle istituzioni nazionali ed europee, l’ambientalismo e piattaforme anti-austerità non focalizzate solo sulla questione lavoro hanno fornito una spinta ancora maggiore rispetto alle mobilitazioni alter-globaliste dei primi anni 2000. Non è un destino, insomma, che nella crisi cresca solo la destra. Ma non può essere questo un alibi per la sinistra italiana. In Italia, con la trasformazione del Pd in partito della Terza Via blairiana e i governi di coalizione con partiti di centrodestra, il “cartello” tra Pd e partiti liberali si è strutturato per un quinquennio. Il Movimento 5 Stelle è così diventato il principale partito europeo “anti-cartello”, facendo leva su temi (costi della politica, rinnovamento delle istituzioni e anti-corruzione), considerati poco rilevanti dalla sinistra. Quando questi temi sono divenuti centrali nelle campagne elettorali, il M5S è apparso l’unico attore credibile per interpretarli, diventando il punto di riferimento dell’elettorato delle regioni più povere. Sebbene le sinistre abbiano tentato di interpretare tali stimoli esterni, esse sono apparse, nella migliore delle ipotesi, copie sbiadite del loro passato. Proprio su questo punto - il rapporto tra “il popolo” e la politica, che sembra diventato il nodo centrale dei problemi della sinistra - si è svolta una ricerca realizzata da una rete di ricercatori e attivisti (“Il Cantiere delle Idee”). La ricerca parte da due osservazioni. Primo, la sinistra fa sempre più fatica a raggiungere il voto popolare, come hanno ancora una volta mostrato le ultime elezioni italiane. Secondo, da anni media e forze politiche insistono a evocare e interpretare “il popolo”, spesso nell’accezione di “ceti popolari” o classi deboli. Tutti sembrano sapere, o fanno mostra di sapere, quali sono le necessità, le domande inascoltate, le rappresentazioni e le convinzioni del “popolo”, eterna terra di conquista dei media, delle imprese e della politica, che al “popolo” devono vendere, ciascuno, il proprio prodotto. Nessuno, però, sembra voler ascoltare direttamente e in modo approfondito questo popolo, al di là dei sondaggi. È ciò che si è proposto di fare il Cantiere con questa ricerca, basata su interviste fatte ad abitanti dei quartieri popolari di quattro città italiane: Milano, Firenze, Roma e Cosenza. Con gli intervistati si sono fatte conversazioni strutturate sulla loro condizione sociale e sul modo in cui se la rappresentano, sulle figure sociali a cui attribuiscono i problemi propri, del proprio quartiere, della città in cui vivono e dell’Italia, su ciò che pensano della politica esistente e di quella che vorrebbero, della destra e della sinistra, dello Stato e dell’economia. Possiamo qui descrivere solo a grandi linee alcuni risultati della ricerca. Innanzitutto, la sinistra è considerata sostanzialmente inesistente. Alcuni intervistati faticavano perfino a capire la domanda: “chi rappresenta la sinistra in Italia?”. Non perché non avessero presente la distinzione tra destra e sinistra, ma perché non avevano idea di chi collocare nella casella sinistra. Anche tra chi si ritiene progressista, domina un’assenza di riferimenti ideali, di partito e di leadership. Come ci si poteva aspettare, i sentimenti e le parole che gli intervistati associano alla politica italiana sono quelli della sfiducia e dell’assenza di riconoscimento e di aspettative. Alla politica esistente ci si riferisce con termini che a volte si avvicinano al disgusto. Ai politici non viene mai attribuito uno status di autorevolezza o prestigio. In nessuna intervista è emersa un’adesione convinta a qualche forza politica. Si vota contro qualcosa o qualcuno e, soprattutto, senza avere aspettative (nemmeno tra chi vota M5S). Eppure si vota. Tutti gli intervistati ritengono che la politica, le istituzioni, lo Stato e perfino i partiti, siano utili o debbano tornare a esserlo. Resiste una fiducia nella democrazia, nella rappresentanza e quindi anche nella partecipazione elettorale. Si spera che nascano nuovi partiti a cui si chiede di essere seri, coerenti, e capaci di proporre una visione d’insieme dello sviluppo sociale. Si ha bisogno di “griglie” per capire e muoversi nel presente, e si pensa che sia la politica a doverle offrire. Se la politica esistente è condannata, non lo è la politica in quanto tale. Anzi, la si rimpiange. Soprattutto, emerge una richiesta di Stato. È lo Stato che è indicato sia come grande assente che come entità che potrebbe e dovrebbe risolvere i problemi da cui le persone sono colpite (tra i più segnalati: il lavoro, non solo perché non c’è, ma anche perché si lavora male e si guadagna poco; il reddito; le diseguaglianze; la casa; la sicurezza in tutte le sue accezioni, da quella che si pensa derivi dall’“emergenza immigrazione” a quella legata ai pericoli, molto sentiti, della microcriminalità, ino alla sicurezza sociale). Lo Stato è invocato anche indirettamente, come “luogo” necessario di coordinamento e armonizzazione di una vita sociale percepita, quasi unanimemente, come uno stato di natura, una giungla in cui si lotta, tutti contro tutti, per la sopravvivenza. Allo Stato si chiede di ricostruire una vita civile, un rapporto di reciprocità e di cooperazione tra le persone e tra i cittadini e le istituzioni. Si chiede, in una parola, di “ridare forma” a una società sentita come informe e pericolosa, in cui non solo il potere e le élite, ma anche le persone da cui si è circondati nella vita quotidiana, appaiono spesso sfuggenti e senza volto. È la richiesta di un ritorno alla funzione antropologica fondamentale delle istituzioni: tenere insieme le persone e dare una prevedibilità alla vita sociale. Dalla ricerca - che sarà presentata il 19 maggio a Firenze - emergono alcune prime indicazioni su come pensare una sinistra che sappia rendere popolari i propri valori. Ci piacerebbe che il lavoro iniziato dal “Cantiere delle Idee” possa essere uno stimolo per andare oltre.
Per informazioni, è appena nata su Facebook la pagina “Il Cantiere delle idee”; mail: info@cantiereidee.it.