l’espresso 6.5.18
La traversata del deserto/5
La discussione
 sulla sinistra prosegue qui con l’intervento di Loris Caruso 
(ricercatore in sociologia politica alla Scuola Normale Superiore) e di 
Davide Vittori (collaboratore del Cise, Centro italiano di studi 
elettorali). Entrambi sono animatori de Il Cantiere delle idee. 
Nostalgia dello Stato
Quali
 paure e quali speranze ha oggi “il popolo”? Una ricerca sul campo 
ipotizza alcune risposte. Di cui ogni futura sinistra dovrebbe tenere 
conto 
di Loris Caruso e Davide Vittori
La crisi
 delle socialdemocrazie europee si è concretizzata nelle urne 
nell’ultimo quinquennio, ma ha radici più lontane. I partiti 
socialdemocratici non hanno tentato semplicemente di divenire il partito
 della classe media. Dagli anni ’90 hanno cessato di essere alternativi 
ai partiti conservatori e liberali. Sono diventati parte di un “cartello
 elettorale” ben introdotto nelle élite economiche e sempre più privo di
 base sociale. Non sorprende quindi che durante la recessione siano 
stati partiti esterni a questo “cartello” ad aver denunciato la 
sostanziale indifferenza tra le varie proposte offerte dai partiti 
socialisti. Da un lato, la congiuntura economica e la cosiddetta crisi 
migratoria hanno fornito ai partiti della destra radicale la perfetta 
combinazione di welfare nazionalistico e valori tradizionalisti (se non 
xenofobi). Dall’altro, in alcuni Paesi nuove forze a sinistra della 
socialdemocrazia hanno catalizzato il malcontento nei confronti di 
politiche economiche restrittive, proponendo una variante inclusiva e 
progressista di “populismo”: Podemos, Syriza, La France Insoumise, il 
Blocco di Sinistra (in Portogallo), il Labour di Jeremy Corbyn e partiti
 come i GroenLinks olandesi e il Partito dei Lavoratori del Belgio, 
hanno ottenuto risultati elettorali significativi contrapponendo al 
nazionalismo della destra proposte capaci di attrarre un elettorato 
eterogeneo. La corruzione, il rinnovamento delle istituzioni nazionali 
ed europee, l’ambientalismo e piattaforme anti-austerità non focalizzate
 solo sulla questione lavoro hanno fornito una spinta ancora maggiore 
rispetto alle mobilitazioni alter-globaliste dei primi anni 2000. Non è 
un destino, insomma, che nella crisi cresca solo la destra. Ma non può 
essere questo un alibi per la sinistra italiana. In Italia, con la 
trasformazione del Pd in partito della Terza Via blairiana e i governi 
di coalizione con partiti di centrodestra, il “cartello” tra Pd e 
partiti liberali si è strutturato per un quinquennio. Il Movimento 5 
Stelle è così diventato il principale partito europeo “anti-cartello”, 
facendo leva su temi (costi della politica, rinnovamento delle 
istituzioni e anti-corruzione), considerati poco rilevanti dalla 
sinistra. Quando questi temi sono divenuti centrali nelle campagne 
elettorali, il M5S è apparso l’unico attore credibile per interpretarli,
 diventando il punto di riferimento dell’elettorato delle regioni più 
povere. Sebbene le sinistre abbiano tentato di interpretare tali stimoli
 esterni, esse sono apparse, nella migliore delle ipotesi, copie 
sbiadite del loro passato. Proprio su questo punto - il rapporto tra “il
 popolo” e la politica, che sembra diventato il nodo centrale dei 
problemi della sinistra - si è svolta una ricerca realizzata da una rete
 di ricercatori e attivisti (“Il Cantiere delle Idee”). La ricerca parte
 da due osservazioni. Primo, la sinistra fa sempre più fatica a 
raggiungere il voto popolare, come hanno ancora una volta mostrato le 
ultime elezioni italiane. Secondo, da anni media e forze politiche 
insistono a evocare e interpretare “il popolo”, spesso nell’accezione di
 “ceti popolari” o classi deboli. Tutti sembrano sapere, o fanno mostra 
di sapere, quali sono le necessità, le domande inascoltate, le 
rappresentazioni e le convinzioni del “popolo”, eterna terra di 
conquista dei media, delle imprese e della politica, che al “popolo” 
devono vendere, ciascuno, il proprio prodotto. Nessuno, però, sembra 
voler ascoltare direttamente e in modo approfondito questo popolo, al di
 là dei sondaggi. È ciò che si è proposto di fare il Cantiere con questa
 ricerca, basata su interviste fatte ad abitanti dei quartieri popolari 
di quattro città italiane: Milano, Firenze, Roma e Cosenza. Con gli 
intervistati si sono fatte conversazioni strutturate sulla loro 
condizione sociale e sul modo in cui se la rappresentano, sulle figure 
sociali a cui attribuiscono i problemi propri, del proprio quartiere, 
della città in cui vivono e dell’Italia, su ciò che pensano della 
politica esistente e di quella che vorrebbero, della destra e della 
sinistra, dello Stato e dell’economia. Possiamo qui descrivere solo a 
grandi linee alcuni risultati della ricerca. Innanzitutto, la sinistra è
 considerata sostanzialmente inesistente. Alcuni intervistati faticavano
 perfino a capire la domanda: “chi rappresenta la sinistra in Italia?”. 
Non perché non avessero presente la distinzione tra destra e sinistra, 
ma perché non avevano idea di chi collocare nella casella sinistra. 
Anche tra chi si ritiene progressista, domina un’assenza di riferimenti 
ideali, di partito e di leadership. Come ci si poteva aspettare, i 
sentimenti e le parole che gli intervistati associano alla politica 
italiana sono quelli della sfiducia e dell’assenza di riconoscimento e 
di aspettative. Alla politica esistente ci si riferisce con termini che a
 volte si avvicinano al disgusto. Ai politici non viene mai attribuito 
uno status di autorevolezza o prestigio. In nessuna intervista è emersa 
un’adesione convinta a qualche forza politica. Si vota contro qualcosa o
 qualcuno e, soprattutto, senza avere aspettative (nemmeno tra chi vota 
M5S). Eppure si vota. Tutti gli intervistati ritengono che la politica, 
le istituzioni, lo Stato e perfino i partiti, siano utili o debbano 
tornare a esserlo. Resiste una fiducia nella democrazia, nella 
rappresentanza e quindi anche nella partecipazione elettorale. Si spera 
che nascano nuovi partiti a cui si chiede di essere seri, coerenti, e 
capaci di proporre una visione d’insieme dello sviluppo sociale. Si ha 
bisogno di “griglie” per capire e muoversi nel presente, e si pensa che 
sia la politica a doverle offrire. Se la politica esistente è 
condannata, non lo è la politica in quanto tale. Anzi, la si rimpiange. 
Soprattutto, emerge una richiesta di Stato. È lo Stato che è indicato 
sia come grande assente che come entità che potrebbe e dovrebbe 
risolvere i problemi da cui le persone sono colpite (tra i più 
segnalati: il lavoro, non solo perché non c’è, ma anche perché si lavora
 male e si guadagna poco; il reddito; le diseguaglianze; la casa; la 
sicurezza in tutte le sue accezioni, da quella che si pensa derivi 
dall’“emergenza immigrazione” a quella legata ai pericoli, molto 
sentiti, della microcriminalità, ino alla sicurezza sociale). Lo Stato è
 invocato anche indirettamente, come “luogo” necessario di coordinamento
 e armonizzazione di una vita sociale percepita, quasi unanimemente, 
come uno stato di natura, una giungla in cui si lotta, tutti contro 
tutti, per la sopravvivenza. Allo Stato si chiede di ricostruire una 
vita civile, un rapporto di reciprocità e di cooperazione tra le persone
 e tra i cittadini e le istituzioni. Si chiede, in una parola, di 
“ridare forma” a una società sentita come informe e pericolosa, in cui 
non solo il potere e le élite, ma anche le persone da cui si è 
circondati nella vita quotidiana, appaiono spesso sfuggenti e senza 
volto. È la richiesta di un ritorno alla funzione antropologica 
fondamentale delle istituzioni: tenere insieme le persone e dare una 
prevedibilità alla vita sociale. Dalla ricerca - che sarà presentata il 
19 maggio a Firenze - emergono alcune prime indicazioni su come pensare 
una sinistra che sappia rendere popolari i propri valori. Ci piacerebbe 
che il lavoro iniziato dal “Cantiere delle Idee” possa essere uno 
stimolo per andare oltre. 
Per informazioni, è appena nata su Facebook la pagina “Il Cantiere delle idee”; mail: info@cantiereidee.it. 
 
