lunedì 21 maggio 2018

La Stampa TuttoLibri 21.5.18
Marx augurava la morte allo zio perché era a corto di Capitale
Una biografia racconta l’uomo: burbero, tirannico, marito infedele E quando si tagliò l’(iconica) barba fu l’unica volta in cui sorrise
di Paola Italiano


L’unica buona notizia me l’ha data mia cognata: la notizia della malattia dell’inossidabile zio di mia moglie. Se quel cane muore adesso, sono fuori dai guai». Un uomo tormentato dai debiti non vede l’ora che il parente schiatti per riceverne l’eredità. Quell’uomo è Karl Marx. Impietoso, egoista, meschino. Il Marx di cui non si parla mai, non il filosofo ma l’uomo nella sua dimensione privata. Il marito, il padre, l’amico, il collega.
Non c’è nulla o quasi di inedito o che gli storici non abbiano già ricostruito nella biografia di Uwe Wittstock Karl Marx dal barbiere. La vita e l’ultimo viaggio di un rivoluzionario tedesco (Edt). Eppure si resta a bocca aperta. Dietro la folta barba c’era sì un uomo energico, un infaticabile studioso, con un’intelligenza vivacissima, in grado di ammaliare con le parole e di inchiodare al ragionamento. Ma anche un carattere tirannico, insofferente alle critiche, sferzante, sarcastico, pronto a umiliare chiunque avesse l’ardire di contraddirlo. Un disastro nel gestire l’economia domestica, sopraffatto per tutta la vita da problemi di finanze, costretto a chiedere prestiti e a rivolgersi al banco dei pegni o sperare, come si legge nella lettera ad Engels, che qualche parente muoia per riceverne l’eredità. E ancora: marito infedele, bugiardo e a tratti insensibile ai limiti della mostruosità. Per nulla incline a sentimentalismi e nostalgie: aveva una curiosità inesauribile nei suoi studi, ma non aveva niente del conoscitore del genere umano e non era capace di empatia neppure per i i figli e per l’unico vero amico che ebbe nella vita.
E avercene, amici così. Friederich Engels lo sostenne economicamente per tutta la vita. Ne venerava le doti e lo finanziò aspettando con una pazienza infinita che Marx portasse a termine il progetto de Il Capitale. Ma tra le altre cose, Marx faceva anche una fatica terribile a portare a termine i suoi progetti e la verità è che senza Engels lui e la sua famiglia non sarebbero sopravvissuti alla miseria nera in cui si ritrovarono, soprattutto a Londra. Marx, annota Wittstock, «non aveva nulla dell’affascinante scroccone o dell’imbroglione maestro nell’arte di vivere. La penuria costante lo rendeva spudorato e presuntuoso. Definiva “bricconi”, “asini” e “masnada” i creditori che pretendevano la restituzione del denaro prestato. I parenti che non gli facevano il favore di morire a tempo debito, li definiva “impedimenti all’eredita”».
Ogni volta che gli arrivava un po’ di denaro, lo sperperava come se non ci fosse un domani. Tra il 1863 e il 1864, per esempio, ricevette due eredità: qualsiasi famiglia inglese del ceto medio avrebbe campato per cinque anni, anche di più. Ma i coniugi Marx traslocarono in una casa più grande e più costosa. Appena un anno dopo scrive a Engels: «Già da due mesi ormai vivo semplicemente con il banco dei pegni». Una situazione devastante soprattutto per la moglie Jenny, che un giovane Marx appassionato aveva corteggiato con poesie enfatiche («Jenny! Posso dir con ardimento/Che le anime noi ci siam scambiati»).Dopo il matrimonio, la donna più volte si è trovata al limite del crollo fisico e psichico e all’età di 50 anni gli ripeteva quasi ogni giorno che così non ce la faceva più ad andare avanti. E non c’era solo la miseria. Jenny aveva mandato giù anche l’infedeltà del marito. Nel 1853, la loro cameriera Helena Demuth (sì, anche la cameriera: Marx ci tenne per tutta la vita a mantenere le apparenze del buon borghese) ebbe un figlio. Non disse chi era il padre. In soccorso arrivò ancora una volta Engels, che se ne assunse la paternità, ma Jenny Marx sapeva benissimo come stavano le cose, anche perché la somiglianza del bambino con Karl era evidente. Inoltre, della tragedia immane che fu per Jenny la perdita della figlia Franziska, Marx iscrive in questi termini a Engels: «La settimana scorsa ho dovuto affrontare una merda, di cui tu non puoi farti neanche un’idea». Solo la morte del figlio Edgar all’età di otto anni lo fece veramente vacillare e lo segnò per sempre.
Wittstock racconta la vita di Marx alternando i capitoli storici che ne ricostruiscono la biografia alternati a capitoli più dilatati che raccontano il suo viaggio ad Algeri nel 1882, a pochi mesi dalla morte di Jenny e a meno di un anno dalla morte del filosofo. Un viaggio per curarsi, rivelatosi inutile anche perché foschi nuvoloni e pioggia sembravano seguire Karl ovunque andasse. Ma quella di Algeri è una tappa significativa per un altro motivo: perché lì Marx fece il gesto eclatante di tagliarsi la barba che lo aveva accompagnato per tutta la vita da che era studente. Era la barba dei rivoluzionari, ma Marx la usò anche per coltivare scientemente l’immagine severa, imponente, autoritaria che voleva offrire di sè. Una specie di brand. Subito prima di entrare dal barbiere, si fa scattare l’ultima fotografia. È l’unica di tutte le immagini che abbiamo di lui in cui sorride.