Il Fatto 21.5.18
Solidarietà, un’idea di sinistra di fronte al governo Salvimaio
Lega
 e Cinque stelle hanno scommesso, vincendo, su una faglia, generica, tra
 “l’alto” e il “basso”, tra il popolo e le élite, ma un punto di vista 
progressista e credibile è sempre più necessario al sistema 
istituzionale
di Salvatore Cannavò 
L’isteria 
con cui la stampa “democratica” e i principali responsabili dello 
sfascio italiano replicano al “contratto del governo del cambiamento” è 
forse più sconfortante del futuro governo. Appelli alla difesa 
democratica dello Stato, indignazione per soluzioni tecnico-politiche 
tanto risibili quanto innocue e, soprattutto, il ricorso all’Europa come
 baluardo ultimo alla calata dei “nuovi barbari”. Con simili premesse il
 consenso all’alleanza leghista-pentastellata non farà che crescere. 
Dietro lo scandalo non c’è solo un istinto ormai incistato nelle élite 
italiane, c’è anche l’ipotesi di costruire, contro il governo nascente, 
una coalizione liberale ed europeista che guarda a Macron come faro e 
che cercherà di affermarsi anche come risposta alla crisi del Pd. Auguri
 a chi ci proverà.
Per chi mantiene un orientamento di sinistra, 
la posizione non può essere quella e non può nemmeno basarsi su una 
chiamata alle armi contro “i nuovi fascismi”, se non altro perché non 
troverebbe ascolto. Quel programma ha un consenso sociale fortissimo, la
 maggior parte dei suoi punti potrebbe essere sottoscritto da forze 
ambientaliste e progressiste. Sposarsi alla flat tax e, soprattutto, 
alla propaganda anti-immigrati della Lega disegna ovviamente un profilo 
inquietante e basta dunque a decidere che di un tale governo non si può 
essere sostenitori.
Un punto di vista di sinistra che voglia 
mettersi all’opposizione di questo governo, oltre a tener conto di 
questi elementi, deve prima definire se stesso. L’unico punto di vista 
di sinistra possibile, ancora oggi, è pensare la società come una realtà
 attraversata da faglie, da clivages, che danno luogo a conflitti: c’è 
chi sta da una parte e chi dall’altra. Lega e Cinque stelle hanno 
scommesso, vincendo, su una faglia tra “l’alto” e il “basso”, tra il 
popolo e le élite, raffigurando in queste le classi dirigenti italiane 
ed europee degli ultimi trent’anni. Nel popolo ci sono un po’ tutti, 
soprattutto una classe media impoverita, frustrata e rancorosa, ma anche
 fette consistenti del mondo del lavoro dipendente, giovani precari, 
insegnanti, funzionari dello Stato. Un punto di vista di sinistra può 
invece considerare ancora valida la divisione tra il lavoro da una 
parte, nelle sue molteplici sfaccettature (dai riders ai super-precari) e
 chi possiede capitali, produttivi e finanziari, e governa l’andamento 
del mondo. Per quanto si insista da decenni sul superamento di questa 
suddivisione la dura realtà conferma che quella faglia è ancora attiva.
Anche
 perché la sostituzione del clivage destra/sinistra con quello 
alto/basso, per quanto non debba indurre a disprezzare quest’ultimo, ha 
prodotto finora un risultato negativo: la rabbia sociale si è scaricata 
sul vicino più prossimo, quasi sempre il migrante, o il rom, il povero, 
spessissimo le donne, vittime di una violenza inestirpata.
Un 
punto di vista di sinistra che voglia affrontare seriamente il governo 
nascituro dovrà affrontare di petto il programma double face del 
possibile governo con la sua componente liberista come la “dual flat 
tax”, che propone un futuro dell’Italia da paradiso fiscale e misure 
sociali come il Reddito di cittadinanza, la riforma della legge Fornero,
 il deficit spending come strategia, la Banca pubblica, politiche per 
l’ambiente, la scuola, l’acqua pubblica. A tenere insieme le due 
componenti, oltre a una tattica spregiudicata, soccorre una congiuntura 
inedita, una delega speciale al “nuovo” contro il “vecchio”, che fa 
sperare in un cambiamento possibile. La stessa che premiò Renzi nel 
2014. Se però è vero che nell’alleanza convivono una componente 
liberista e una più sociale, la contraddizione verrà fuori ed è su 
quella che si può scommettere. Anche perché, l’alleanza e il compromesso
 definito, ha finora messo da parte una parola chiave: la solidarietà. 
Intesa come “concetto costitutivo della Repubblica” (Stefano Rodotà), 
come connessione paritaria tra uguali, e non come atto paternalistico 
del governo di turno, nel programma la solidarietà non c’è. Anzi, nelle 
misure contro i migranti, contro i rom, contro le povere madri migranti 
escluse dagli asili nido (cosa c’è di più feroce?) viene riabilitato il 
suo contrario.
Il punto di vista che una qualche sinistra dovrebbe
 assumere è esattamente quello della solidarietà: di classe, tra i 
generi, tra le etnie, come elemento costituito di un’alterità. Che non 
cristallizzi il governo nascituro sotto etichette generiche come 
“fascismo” o “sovranismo”, ma lo misuri a partire dai propri valori e 
dai propri obiettivi. Anche un governo di sinistra, se fosse tale, 
dovrebbe varare un programma da 100 miliardi di recupero sociale, non è 
su questo che Salvini e Di Maio vanno criticati.
Il punto è che a 
pagare questi 100 miliardi dovrebbero essere quelli che in dieci anni di
 crisi si sono arricchiti e di miliardi ne hanno guadagnati mille. Non è
 un caso che nel programma venga esclusa la patrimoniale. E non 
dovrebbero esistere capri espiatori che richiamano alla logica degli 
anni ’30 del Novecento. Il “loro” e il “noi” dovrebbe essere ribaltato. E
 nel “noi”, a differenza che nel passato, non ci sono improbabili 
partiti mai nati o già morti, ma solo una “sinistra di società” che 
ancora non si riconosce in quanto tale ma che dovrebbe cominciare a 
farlo.
 
