La Stampa 9.5.18
“Ispirandomi a Basaglia ho salvato 60 mila malati psichici in Africa”
Arriva in Italia l'attivista famoso in tutto il mondo “Così libero le vittime di stregoni e falsi profeti”
di Domenico Agasso Jr
Kouakou
era incatenato a terra. Si trovava in un villaggio a 40 chilometri da
Bouaké, in Costa d’Avorio. Chissà da quanto tempo aveva braccia e gambe
bloccate da un fil di ferro. Carne e ferro erano una massa
indistinguibile. Quando Grégoire lo vide, si precipitò a tagliare i fili
di ferro. Ma la setticemia era ormai troppo avanzata. Il ragazzo morì
poco dopo. Riuscì ancora a dire grazie al suo liberatore. E a chiedersi:
«Non capisco perché i miei genitori mi hanno fatto questo, io non sono
cattivo». Lo hanno fatto perché era considerato «pazzo».
Da quel
giorno del 1994, Grégoire Ahongbonon gira l’Africa, villaggio per
villaggio, alla ricerca di malati mentali «curati» con violenze o tenuti
in catene, metodo «ancora usato per “trattare” i malati psichici», ci
spiega. Li cerca per liberarli, perciò ha sempre con sè gli «attrezzi
del mestiere»: cesoie, seghetto, mazza e martello. E per accoglierli nei
suoi centri. Per questo Grégoire è considerato il «Basaglia d’Africa»
(nel 1998 ha anche ricevuto il Premio internazionale intitolato al
neurologo italiano), o l’«Angelo dei matti».
È in Italia per
raccontare la sua storia, raccolta da Rodolfo Casadei nel libro
«Grégoire. Quando la fede spezza le catene» (Emi). Ha un sorriso e una
voce coinvolgenti, non ha perso la voglia di scherzare nonostante i
drammi che incontra ogni giorno. È nato nel 1953 a Ketoukpe, in Benin.
Nel 1971 va a Bouaké per lavorare come gommista. Poi apre un’agenzia di
taxi che in poco tempo lo fa diventare ricco. Ma altrettanto velocemente
si ritrova sul lastrico. Pensa anche al suicidio.
Dopo una crisi
religiosa, nel 1982, vive un’esperienza di conversione in un
pellegrinaggio in Terrasanta, dove nasce il suo desiderio di servire
«gli ultimi tra gli ultimi, come indica Gesù Cristo». Tornato in patria,
fonda l’Associazione San Camillo de Lellis, che nel 1992 aprirà il suo
primo centro. Il denaro arriva «con la Provvidenza», attraverso
benefattori.
Dunque da oltre 25 anni, senza preparazione medica e
tantomeno psichiatrica, si occupa di malati mentali in Benin, Burkina
Faso, Costa d’Avorio e Togo. La sfida da vincere è evitare che le
persone con problemi mentali vengano trattate come indemoniate, legate
con catene, lasciate sole, diventando larve umane. Oppure «vittime di
sedicenti profeti, che li tormentano in campi di preghiera». Lo disgusta
il modo di operare «di queste sette: gente che usa il nome di Dio per
incatenare i malati, bastonarli, privarli di acqua e cibo col pretesto
che sono posseduti e che bisogna far soffrire il corpo per farne uscire
il demonio. Combattere questa gente è la nostra lotta principale!».
Più
di 60.000 persone sono state accolte; 25.000 sono attualmente ospitate
in otto Centri di cura, 28 centri di consultazione medica, 13 di
reinserimento. E più di mille sono le persone liberate dalle catene. Il
triste record è di una donna, «Janine, tenuta prigioniera nei pressi di
un immondezzaio, con un braccio bloccato in un tronco. È rimasta
incatenata 36 anni».
La cura dell’ex manager di taxi è formata da
«medicinali a prezzi economici, un approccio profondamente umano e uno
staff di ex pazienti». Spiega lo psichiatra Eugenio Borgna: «Sono
stimolate le loro attitudini al lavoro. Non ci sono psichiatri, ma ci
sono molte visite di psichiatri occidentali». Una storia per tutte è
quella di Janvier, rientrato al suo villaggio dopo la cura-Grégoire: ha
imparato a usare una macchina che estrae l’olio di palma dalle noci
della pianta. Lo avevano tenuto incatenato per 7 anni. Adesso è sposato e
ha quattro figli. E, con il suo lavoro, è diventato uno dei più ricchi
del villaggio.