La Stampa 8.5.18
Cyberguerra, tra Israele e Iran, la battaglia è già cominciata
Attacchi informatici e laboratori segreti. Gli hacker ingannano i siriani con un falso raid
Che
la cyberguerra sia già in corso lo conferma anche un raid in Siria mai
avvenuto, ma che è stato registrato dai radar di Damasco
di Francesco Bussoletti
La
guerra tra Israele e l’Iran è già cominciata, passa dai pc e si
combatte in tutto il mondo. Lo conferma il secondo presunto raid
Usa-Gran Bretagna-Francia in Siria, che non è mai avvenuto. Ma che è
stato registrato dai radar di Damasco, i quali hanno attivato le difese
anti-aeree. Fonti militari internazionali affermano, infatti, che
qualcuno – si guarda a Usa e Stato ebraico - abbia lanciato un’azione di
cyberwarfare contro il centro di riporto e controllo di Damasco. La
struttura che riceve tutte le informazioni legate alla protezione dello
spazio aereo nazionale e le smista alle unità competenti.
Il messaggio
La
sua compromissione avrebbe generato un falso positivo su un attacco e
attivato i sistemi di difesa aerea. Ciò per due obiettivi: saggiare le
cyber-difese di Bashar Assad legate soprattutto alla difesa aerea e i
tempi di risposta; lanciare un messaggio a Damasco: attenzione alle
vostre azioni e al sostegno all’Iran, possiamo colpirvi in qualunque
momento e in silenzio. Intanto, Teheran nelle ultime settimane ha
schierato il suo esercito informatico per condurre operazioni di
cyberwarfare contro Israele. È la risposta alla recentissima conferenza
stampa del primo ministro Benjamin Netanyahu, il quale ha presentato una
serie di documenti secondo i quali la Repubblica islamica continua a
sviluppare in segreto il suo programma nucleare bellico, nonostante il
Jcpoa. L’Iran sta impiegando alcuni gruppi hacker: le Advanced
Persistent Threats (Apt) Ajax Security Team, Chafer, Infy, Apt33 e 34.
L’obiettivo è condurre azioni di cyber-spionaggio (vedi l’operazione
Saffron Rose) e infiltrazione per danneggiare le infrastrutture vitali
dello Stato ebraico. Per farlo utilizzano attacchi cibernetici tipo
«spear phishing». Vengono inviate e-mail a soggetti specifici con vari
tipi di esca - da offerte di lavoro a finti documenti di interesse ad
altro – affinché siano aperte. Queste, in realtà, contengono link a
programmi malevoli (malware), che una volta scaricati e installati
permettono all’aggressore di assumere da remoto il controllo del
computer della vittima. Poi, progressivamente, gli hacker cercano di
arrivare ai network, il loro obiettivo finale. Negli ultimi tempi, gli
«incidenti» in Israele causati da formazioni facenti capo all’Iran si
sono moltiplicati, anche se senza successo. E ci si attende che il trend
aumenti.
Lo Stato ebraico, però, contrappone un «cyber army»
multiforme. In campo ci sono circa 8200 esperti delle Idf (Israel
Defense Forces), che si addestrano in una base high-tech nel Sud; gli
specialisti del Mossad e quelli della neo-costituita unità di
combattimento cyber dell’agenzia per la sicurezza interna, lo Shabak
(ShinBet). Si chiama Shabacking Team ed è nata nel 2017. A loro si
uniscono figure dei settori privato e accademico. Ciò ha garantito
un’efficiente protezione dei sistemi vitali del Paese e ottime capacità
offensive cibernetiche. Lo dimostrano alcuni cyber attacchi che la
Repubblica islamica ha subito recentemente e che non sono ufficialmente
stati attribuiti. Ma che diverse fonti ritengono siano opera dello Stato
ebraico. Tra questi, quello agli switches Cisco (3500), avvenuto solo
pochi giorni fa. In Iran ci sono due organismi che proteggono la nazione
dalle minacce del cyberspazio: il «Joint Cyber Army», braccio
cibernetico dell’intelligence di Teheran, e il Cyber Defense Command
(Gharargah-e Defa-e Saiberi). La struttura è posta sotto la supervisione
della «Passive Civil Defense Organization», subdivisione del Comando
congiunto delle forze armate.
Difesa debole
Le capacità
difensive della nazione, contrariamente a quelle offensive, sono però
medie. Lo confermano diversi episodi avvenuti nel corso degli ultimi
anni: partendo dall’attacco col virus Stuxnet alle centrifughe a Natanz
del 2006 fino agli «incidenti» degli switches, tutte operazioni
riuscite. Inoltre, lo stesso capo della «cyber polizia» di Teheran, il
generale Kamal Hadianfar, ha ammesso che la nazione nel 2017 ha subito
296 cyber aggressioni gravi contro le infrastrutture vitali. Senza
contare che in più occasioni esperti del settore sono morti
misteriosamente. Vedi il caso di Mojtaba Ahmadi, comandante del quartier
generale della «Cyber War», ucciso nel 2013 da ignoti.