martedì 8 maggio 2018

La Stampa 8.5.18
Il Libano nelle mani di Hezbollah
Alle urne avanza il fronte sciita
Il premier Hariri: “Le armi dei miliziani un problema di tutta la regione”
di Giordano Stabile


Hezbollah e gli alleati cristiani conquistano oltre metà dei deputati e ridimensionano il premier sunnita Saad Hariri, garante degli interessi occidentali e sauditi nel Paese, che perde un terzo dei seggi all’Assemblea. È il dato più importante che emerge dalle elezioni in Libano. Fra ritardi e contestazioni l’annuncio dei risultati definitivi è stato rinviato a questa mattina. Ma intanto ieri sera il leader del Partito di Dio Hassan Nasrallah ha celebrato in diretta tv la «grande vittoria».
«Trionfa l’asse della resistenza», cioè il fronte sciita allineato all’Iran «che protegge la sovranità del Paese» contro Israele.
Nasrallah ha parlato di «missione compiuta» e dal volto pacioso traspariva una soddisfazione enorme. Hezbollah ora dispone della più potente forza armata libanese, 40 mila uomini meglio equipaggiati dello stesso esercito, e del principale blocco in Parlamento, 26 seggi assieme all’altro partito sciita Amal. Sommati ai deputati dei partiti alleati, a cominciare Al-Tayyar al-Watani al-Hor, il Movimento libero patriottico del presidente cristiano Michel Aoun, più gli indipendenti e formazioni minori, si arriva a 67, oltre la metà dei 128 dell’Assemblea. È un dato preoccupante per Hariri. Anche se sarà confermato premier, i suoi spazi di manovra saranno ristretti. Il suo partito Mostaqbal, Futuro, ha conquistato soltanto 21 seggi, contro i 33 delle precedenti elezioni. Ed Hezbollah è riuscito anche a far eleggere alcuni deputati sunniti suoi alleati, tanto che voci nel partito fanno trapelare che c’è il rischio «di perdere la rappresentanza dei sunniti», mentre il quotidiano filosiriano Al-Akhbar ha titolato «schiaffo» al premier. Hariri ha cercato di minimizzare. Ha detto che comunque il voto «è un segnale positivo per la comunità internazionale», che ha messo sul piatto 11 miliardi di aiuti a patto che il Paese proceda «con le riforme».
La prova democratica in effetti è riuscita, anche se l’affluenza è calata dal 55% del 2009 al 49 di ieri, ma sarà comunque difficile per il premier convincere americani ed europei a finanziare infrastrutture e soprattutto le forze armate visto lo strapotere di Hezbollah, l’unico a festeggiare ieri notte con le auto che sfrecciavano fino alla Corniche imbandierate di giallo e verde.
Hariri ha confermato che resterà nel patto con il presidente Aoun ed Hezbollah, che gli ha permesso di arrivare alla guida del governo, e ammesso che le armi in possesso del movimento sciita sono un problema ma che «deve essere affrontato a livello regionale».
Il premier è stato «trattenuto» in Arabia Saudita lo scorso novembre perché rompesse con Hezbollah ma la mossa ha portato a scarsi risultati, e alla fine ha solo indebolito il cavallo saudita. Come ha notato l’editorialista Michel Georgiu del quotidiano francofono L’Orient Le Jour queste elezioni segnano la fine del movimento «14 marzo», nato dopo l’uccisione del padre di Hariri, Rafik, e che aveva guidato le proteste di massa fino al ritiro delle truppe di Bashar al-Assad alla fine del 2005.
Ora invece Assad fa un ritorno alla grande, piazza in Parlamento il generale Jamil al-Sayyed, ex comandante della Sûreté Générale, suo uomo di fiducia in Libano. La sua candidatura, contestata, ha fatto perdere voti a Hezbollah nella valle della Bekaa e ne ha fatti guadagnare molti alle Qouet al-libnaniya, le Forze libanesi guidate da Samir Geagea, la destra cristiana che ora costituisce la maggiore forza di opposizione e ha raddoppiato i seggi da 8 a 15. Ma l’elezione di Al-Sayyed dà il segno del vento che soffia nel Mashrek, il Levante arabo, e fa scattare l’allarme rosso in Israele, che vede in pericolo il «fronte Nord», il confine con il Libano e la Siria, e teme attacchi missilistici.
Il «fronte della resistenza» anti-israeliano potrebbe segnare un altro colpo nelle elezioni di sabato in Iraq, e a quel punto il «corridoio sciita» sarà bello che consolidato, mentre Assad spazza via i ribelli e si è già ripreso due terzi della Siria. La prima reazione è arrivata dal ministro dell’Educazione Naftali Bennett, membro del Consiglio di sicurezza del governo di Benjamin Netanyahu: «Ormai il Libano è indistinguibile da Hezbollah – ha commentato – e Israele non farà distinzione fra Hezbollah e lo Stato libanese se ci sarà una guerra».