La Stampa 5.5.18
Gli Stati autoritari saranno più ricchi delle democrazie
La previsione di Foreign Affairs sui redditi globali: fra cinque anni il sorpasso delle Nazioni illiberali
di Paolo Mastrolilli
«Nell’arco
dei prossimi cinque anni, la porzione del reddito globale posseduta dai
Paesi considerati non liberi, come Cina, Russia e Arabia Saudita,
supererà quella delle democrazie liberali occidentali». L’allarme viene
dalla rivista Foreign Affairs, che ha dedicato la sua ultima copertina
al pericolo di vita in cui versa l’ordinamento politico vincitore del
secolo scorso. L’argomento più preoccupante, però, riguarda proprio il
declino economico dei Paesi liberi, perché da qui potrebbe derivare il
collasso generale in tutti gli altri campi.
I ragionamenti sulla
crisi della democrazia sono ormai molto diffusi, perché i segnali sono
evidenti: l’autocrazia rampante in Cina; il successo degli «uomini
forti» tipo Putin o Erdogan; l’ondata populista; le democrazie
illiberali in Europa orientale; Trump che si augura di fare il
presidente a vita; e poi le fake news, le minacce alla libertà di
stampa, i furti di dati che fanno dubitare anche della liberalissima
Silicon Valley. A fronte di tante paure non mancano gli ottimisti, come
lo psicologo di Harvard Steven Pinker, che nel suo ultimo libro
«Enlightenment Now» sostiene che in realtà viviamo nell’epoca più
pacifica e prospera di sempre. Ma sono in minoranza.
In questo
clima, la rivista del Council on Foreign Relations ha dedicato la
copertina ad una domanda: «Is Democracy Dying?» (La democrazia sta
morendo?). Gli argomenti per il sì sono noti, ma forse il saggio più
preoccupante è quello di Yascha Mounk e Roberto Stefan Foa. Si intitola
«The End of the Democratic Century», e sostiene che le democrazie stanno
perdendo perché non sono più capaci di garantire ai loro cittadini la
migliore qualità della vita al mondo.
Durante il secolo scorso la
forza dei sistemi liberali era consistita nell’attrattiva della loro
ideologia, ma l’elemento che aveva fatto davvero la differenza era stata
la forza economica. Anche quando era arrivato al suo picco, il blocco
sovietico non aveva mai superato il 13% del reddito globale. L’alleanza
occidentale invece era sempre sopra al 50%. Con questa ricchezza era
venuto un forte appeal, che andava dal soft power culturale all’hard
power militare. L’opulenza mostrata dal telefilm «Dallas» aveva messo in
ginocchio l’Urss quasi quanto la corsa alle guerre stellari di Reagan.
L’attrattiva di istituzioni come la Ue e la Wto aveva spinto Paesi tipo
Turchia e Corea del Sud a riformarsi, mentre le sanzioni economiche
avevano piegato dittatori come Saddam e Milosevic. Ora però tutto questo
sta cambiando: due terzi degli americani sopra i 65 anni considerano la
democrazia irrinunciabile, ma solo un terzo di quelli sotto i 35 anni
la pensa così. Dal 1995 al 2017 gli italiani, francesi e tedeschi
favorevoli ad una svolta autoritaria sono più che triplicati.
La
causa principale di questi sentimenti, secondo gli autori, è che la
democrazia appare confusa e incapace di favorire il benessere, mentre
l’autoritarismo garantisce stabilità e ora anche ricchezza. Secondo le
stime dell’Fmi, tra dieci anni l’alleanza occidentale avrà solo un terzo
del Pil globale. Nel 1990 i Paesi giudicati non liberi dalla Freedom
House avevano il 12% del reddito globale; ora sono al 33%, e tra 5 anni
supereranno le democrazie liberali. Tra i 15 Paesi al top in termini di
reddito pro capite, quasi due terzi non sono democrazie. Tutto ciò ha
dato coraggio a regimi come Cina e Russia, che ormai rivendicano la
superiorità dei loro sistemi. Lo dimostrano le interferenze elettorali
di Mosca, che «in Italia ha finanziato per anni partiti estremisti di
destra e sinistra», ma ormai possiede un «soft power autoritario».
Non
tutto è perduto. I regimi autocratici hanno i loro problemi, e le
democrazie liberali potrebbero salvarsi tornando a crescere, e
risolvendo il problema della disuguaglianza. Se questo non avverrà,
però, «o le autocrazie diventeranno liberali, oppure la democrazia
liberale si trasformerà in una parentesi della storia».