La Stampa 5.5.18
L’allarme di Veltroni
“Il Pd è arrivato a un punto limite”
Nessuno punta alla scissione ma molti ci pensano
di Fabio Martini
Walter
Veltroni sembra ringiovanito. Il primo segretario nella storia del Pd
si presenta agli studi de «la7» per l’intervista con Lilli Gruber con un
look di altri tempi: abbronzato («due ore di sole a Sabaudia sono
bastate»), asciutto, tagliente come mai prima. E quando si accendono le
telecamere, Veltroni sciorina un’analisi crudissima della crisi del suo
partito. E lo fa con un lessico pop, insolito per lui: «La sinistra ha
raggiunto il livello più basso della sua storia. Ma vuoi fermarti a
capire cosa sta succedendo?». E ancora: «Io ed alcuni milioni di
elettori democratici che dobbiamo fare? Quelli che hanno fastidio per
questa roba qui, siamo la stragrande maggioranza». Parole che - al di là
della ribadita fiducia nel futuro del Pd - sembrano tradire
un’incertezza sulla unitarietà del corpo del partito. E infatti più
tardi Veltroni scandisce le parole più impegnative: «Il Pd deve
recuperare tutto intero l’equilibrio che lo ha fatto nascere. E’ come
una farfalla, se le spezzi le ali non vola più. E siamo ad un punto
limite».
Siamo ad un punto limite: espressione che usata da un
personaggio come Walter Veltroni, attentissimo a calibrare le parole,
autorizza pensieri di ogni tipo. Qualcuno sta forse cominciando ad
accarezzare l’idea di mollare gli ancoraggi, mettendo in cantiere una
nuova forza di centrosinistra di stampo ulivista? Poche ore prima della
riunione della direzione del Pd, un altro personaggio navigatissimo come
Piero Fassino, alla domanda se fosse plausibile una scissione nel Pd,
aveva risposto: «I rischi ci sono sempre, ma nessuno lo vuole e nessuno
sta lavorando per dividersi».
Parole, quelle usate da Veltroni e
Fassino, che fanno capire come stanno le cose: nessuno sta attivamente
lavorando alla scissione, meno che mai i due ex segretari, ma il futuro è
ricco di incognite e di subordinate. Soprattutto in vista del congresso
che dovrà stabilire chi comanda nel Pd. Nella nuova, vasta area
«non-renziana» coesistono personaggi diversi tra loro, con ambizioni e
progetti non perfettamente sovrapponibili: un presidente del Consiglio
in uscita come Paolo Gentiloni, ministri come Dario Franceschini, Andrea
Orlando, Carlo Calenda, Maurizio Martina, ex leader di partito come
Piero Fassino e Walter Veltroni, battitori liberi come Luigi Zanda e,
sia pure come consiglieri molto esterni due ex presidenti del Consiglio
come Romano Prodi ed Enrico Letta.
Personaggi con diverse idee sul
futuro del Pd, ma la novità delle ultime ore è che - in tutta questa
area - si stanno cominciando a studiare tutte le mosse - nessuna esclusa
- in vista della riunione veramente decisiva per il futuro del Pd:
l’Assemblea nazionale, l’elefantiaco parlamentino del partito, che per
statuto è chiamato a deliberare tutti i passaggi della stagione
congressuale. Assemblea che somiglia all’araba fenice: che ci sia,
ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. L’unica certezza è che, prima o
poi debba essere convocata, ma nessuno sa quando, perché è la formazione
del governo, a dettarne i tempi.
Ma salvo l’irruzione di un voto
eccessivamente anticipato (tra luglio e settembre) il parlamentino Pd
convocherà il congresso, con annesse Primarie. E a quel punto una
contesa potenzialmente esplosiva potrebbe accendersi sulla gestione
della fase congressuale: se Renzi dovesse affidarla al presidente del
partito, Matteo Orfini, sottraendo la reggenza a Maurizio Martina, «a
quel punto - sussurra un esponente della minoranza - la prevedibile
gestione faziosa delle future liste elettorali, potrebbe spalancare la
strada alla nascita di una nuova formazione di centro-sinistra».
Dunque.
molto dipenderà dall’Assemblea nazionale. Come sempre nelle occasioni
più delicate, Renzi sta tenendo le carte coperte del «suo» candidato
alla segreteria. I suoi nemici interni, per ora, hanno trovato un minimo
comun denominatore sul nome di Nicola Zingaretti, che oggi all’Ex
Dogana di Roma lancerà la sua «Leopolda». Con un titolo dal sapore
antico: «L’alleanza del fare». Per metterli in imbarazzo, Renzi potrebbe
chiedere un sacrificio ad un personaggio a lui vicino e del quale non
si fida fino in fondo: Graziano Delrio.