giovedì 24 maggio 2018

La Stampa 24.5.18
Sferzò il sogno americano
Il Nobel non se ne accorse
di Paolo Bertinetti


A Philip Roth, morto ieri all’età di 85 anni, il Premio Nobel avrebbero dovuto darlo almeno venti anni fa, dopo l’assegnazione dal Premio Pulitzer per Pastorale americana: un capolavoro assoluto, un romanzo che offre un ritratto acutissimo e amaro della società americana, dagli anni del dopoguerra fino a quelli del Vietnam, dalle illusioni e dalle follie della giovane generazione anti-sistema alle illusioni e alle sconfitte di quella uscita dalla guerra. Una generazione che spronata dal clima di esaltazione collettiva che si affermò dopo la fine del conflitto (e dei sacrifici) si lanciò con convinzione ed entusiasmo nella costruzione di un’America più ricca e più grande che mai; e che dopo, come nel caso del suo protagonista, si ritrovò a dover nascondere i fallimenti dietro la facciata del benessere. È in questo romanzo che Roth ha raggiunto il vertice della sua produzione letteraria.
Roth era nato a Newark nel 1933. Suo padre, Herman Roth, figlio di ebrei emigrati negli Stati Uniti dalla Galizia, era un esponente di spicco della comunità ebraica che popolava il quartiere di Newark chiamato Weequahic. Il quartiere e la scuola stessa di Weequahic dove si era diplomato nel 1950 sono stati lo sfondo di molti dei suoi romanzi. Più che lo sfondo: sono stati il terreno fecondo su cui ha fatto crescere la sua invenzione romanzesca, trasformando nei personaggi della finzione, nelle loro vicende, nei loro dilemmi quanto aveva osservato nei suoi anni di formazione.
Questo avvenne tuttavia in un secondo tempo, anche se l’identità ebraica è centrale già nei suoi primi lavori. Ma come oggetto di satira, tant’è vero che il lavoro d’esordio, Goodbye Columbus, gli valse l’etichetta di «ebreo che odiava se stesso per il fatto di essere ebreo». L’accusa, accompagnata dallo scandalo, fu ampiamente rinnovata in occasione della pubblicazione nel 1969 del Lamento di Portnoy, uno dei libri più osceni, scrisse il New Yorker, «che mai siano stati pubblicati». Ma quello che Roth voleva rappresentare era la rivolta della sua generazione contro il perbenismo repressivo dell’ambiente familiare. Alexander Portnoy, un nevrotico giovanotto di Weequahic, ricorre alle cure di uno psicanalista. Il romanzo è il suo monologo sul lettino del terapeuta: una scelta formale brillante, che consente a Roth di sbizzarrirsi in un parlato di irresistibile vivacità - e comicità.
Portnoy non parlava solo della giovane generazione ebraica; ma di tutta quella generazione, e non solo quella americana. Anche per questo fu un successo strepitoso, tanto in Europa quanto in America. Ma fu anche motivo di attacchi durissimi contro Roth, che decise di defilarsi. Nel 1972 si recò a Praga per «rendere omaggio» a Kafka; e al suo ritorno a New York si dedicò allo studio del ceco e alla frequentazione della comunità ceca, prendendo le distanze dall’ambiente letterario newyorchese.
In seguito si trasferì a Londra, insieme all’attrice Claire Bloom (che sposò più tardi), dove trascorse sei mesi all’anno fino al 1989, quando tornò in America per essere vicino al padre gravemente malato. I romanzi più notevoli degli anni londinesi sono quelli che hanno come protagonista lo scrittore Nathan Zuckerman, il suo alter ego: Lo scrittore fantasma, Zuckerman scatenato, La lezione di anatomia e il postmoderno La controvita. Il vertice della sua produzione romanzesca giunse però più tardi, con la trilogia in cui, a partire dalla rivisitazione della sua città natale, delle sue strutture sociali e dei suoi rapporti famigliari al loro interno, seppe offrire una riflessione sull’America del dopoguerra (e sulla sua Storia) che parla non solo agli americani, ma anche a tutti noi.
Pastorale americana, Ho sposato un comunista e La macchia umana compongono una trilogia che affronta temi centrali della realtà americana, la guerra in Vietnam, il maccartismo, la discriminazione razziale, attraverso una scrittura diventata molto più asciutta di quella dei primi lavori ma capace di improvvise impennate liriche, molto «costruita» ma al tempo stesso piena delle cadenze dell’oralità. Anche in seguito, soprattutto in Indignazione e in Il complotto contro l’America, che alcuni considerano un’anticipazione dell’era Trump, Roth seppe riproporci i nodi della Storia attraverso le sue storie, da grande maestro di linguaggio e di invenzione romanzesca.
Il Nobel non glielo hanno dato. Peggio per il Nobel.