La Stampa 24.5.18
Torna di moda l’ambizioso Robespierre
di Lucia Annunziata
Con
andamento mite, sia pur con un leggerissimo spessore di pronuncia,
l’avvocato Giuseppe Conte mette in moto, nel suo discorso di
accettazione dell’incarico, la ruota del cambiamento: «Mi propongo di
essere l’avvocato difensore del popolo italiano, sono disponibile a
farlo senza risparmiarmi». Una breve frase che segna in realtà il giro
di una pagina nella storia istituzionale della nazione: «Il contratto su
cui si fonda questa esperienza rappresenta in pieno le aspettative di
cambiamento degli italiani. Voglio dar vita a un governo dalla parte dei
cittadini».
Da Avvocato incaricato Presidente del Consiglio ad
Avvocato del Popolo, il clima cambia in un secondo. Giuseppe Conte dà
voce alla aspirazione neomoderna della politica, ma la suggestione che
lancia ha radici profonde.
«Tutti i cittadini, di qualunque
condizione, hanno diritto di aspirare a tutti i gradi di rappresentanza
politica. Ogni individuo ha diritto di partecipare alla formulazione
della legge cui è sottomesso e all’amministrazione della cosa pubblica
che è la sua, altrimenti non è vero che tutti gli uomini sono eguali nei
diritti e che ogni uomo è un cittadino». Parole pronunciate il 22
ottobre del 1789 da Maximilien de Robespierre, Avvocato per studi e per
aspirazione, Avvocato del popolo per eccellenza. La cui figura continua a
serpeggiare nell’Olimpo dove abitano i nuovi dei del Movimento 5
Stelle.
Il distacco tra «governanti» e «governati» è tema antico.
L’ossessione della politica, da quando l’uomo ha voluto riunirsi per
decidere insieme del proprio destino comune, è stata quella del divario
tra i detentori del potere e coloro che ne subiscono la volontà e,
forse, gli abusi. Da Sparta, a Roma, gli avvocati del popolo sono stati
una forte istituzione, e i più famosi sono di sicuro i Tribuni plebis,
il cui ruolo fu così vitale che Cicerone affermò che senza il Tribunato
non vi sarebbe stata neppure la Repubblica e la democrazia.
Da
allora ad ogni svolta ambiziosa della storia, l’uomo che prende nella
sue mani i diritti dei cittadini fa la sua ricomparsa. Soprattutto negli
Stati moderni: nella Rivoluzione francese, in età napoleonica e nella
Repubblica romana risorgimentale. Compare in Locke, Rousseau ma anche in
Lenin.
Nel nominare questo titolo il colto avvocato Conte
certamente sapeva quali echi avrebbe lasciato sotto le volte del Palazzo
dei Papi sul Colle: è stato l’annuncio di un ribaltamento di ordini. Di
cui il giuramento di fedeltà europeista non ha ammorbidito lo strappo.
Ma,
appunto, come si legano, se si legano, la fede nell’Europa delle
nazioni, e quella di un esercizio diretto della voce del popolo? O, più
semplicemente, come sta un avvocato del popolo dentro la pelle di un
premier?
Domanda maliziosa ma non oziosa. Il premier, nel senso
della Costituzione italiana, è figura tipica della modernità democratica
che ha forma rappresentativa. Segna l’accordo e i programmi convergenti
di uno o più partiti; è uomo di servizio che opera a quell’incrocio
rappresentato dal bene particolare di un partito con il bene generale di
tutti i cittadini. Un premier è per definizione negoziatore,
equilibratore di interessi, esponente di un accordo che esiste nel tempo
e nelle condizioni date; e che per questo è necessariamente deperibile,
non rinnovabile. Sicuramente senza eccessivi poteri se non quelli che
valgono fino a che vale il voto che lo ha eletto.
Sembra poco, ma è
moltissimo. La moderna democrazia lega la rappresentanza dei cittadini
alla deperibilità dei politici. L’avvocato del popolo, con tutto il suo
vigore da riscatto, è fascinosa figura forte, spesso destinata nella
storia a trasformarsi, come abbiamo visto ripetutamente, da difensore
dei deboli a oppressori dei molti.
Ovviamente, non è possibile
vedere nella mite ed elegante figura che si è recata oggi al Quirinale,
nulla di questi pericoli. Nei fatti l’Avvocato Conte se proprio deve
ricordare qualcuno, somiglia in realtà più che a Robespierre al suo
predecessore Gentiloni. Uomo per eccellenza espressione di mediazione e
servizio.
Ma tant’è. Quando nasce un governo, come quello che sta
andando oggi al potere in Italia, il cambio è la regola. E nei periodi
di cambio è bene cominciare a esercitarsi fin da subito intorno a ogni
possibile significato delle parole e dei ruoli.