La Stampa 22.5.18
Il romanzo di Mary Shelley Frankenstein, o il moderno Prometeo
Il sogno di Mary Shelley e l’alchimista che voleva trapiantare le anime
di Giuseppe O. Longo
Fu
 pubblicato la prima volta esattamente due secoli fa, nel 1818. [...] Il
 lettore che per la prima volta si accosti al romanzo si potrebbe 
chiedere da dove Mary Shelley abbia tratto il nome, invero assai 
indovinato, del protagonista, Victor Frankenstein: un nome che per le 
sue sonorità può ispirare timore e anche un vago senso di minaccia. 
L’ipotesi più plausibile è che esso derivi dal castello di Frankenstein 
(letteralmente «Pietra dei Franchi») che, costruito verso il 1250, sorge
 su una bassa collina alle propaggini della catena boscosa 
dell’Odenwald, a Sud della città tedesca di Darmstadt, in una zona ricca
 di fortezze e di vigneti lungo la Bergstrasse dell’Assia, che costeggia
 il Reno.
I boschi dell’Odenwald sono fitti e scuri, 
segnati da strette valli immerse nel mistero e ricche di leggende. 
Intorno al castello di Frankenstein si raccontano storie e saghe 
popolari, che hanno intessuto la cultura e le tradizioni della regione. 
Sul monte Ilbes, che si eleva a 417 metri in una zona isolata a Sud del 
fortilizio, le bussole impazziscono per la presenza di ammassi di rocce 
magnetiche, e ciò attira gli appassionati di fenomeni paranormali, che, 
in occasioni particolari come la notte di Valpurga o il solstizio 
d’estate, vi celebrano i loro rituali.
Accusato di eresia
Nel
 castello di Frankenstein nacque Johann Conrad Dippel (1673-1734), 
teologo, medico e alchimista. Implicato in diverse diatribe religiose, 
condusse una vita avventurosa e travagliata, tanto da essere 
imprigionato per sette anni con l’accusa di eresia. Fu anche bandito da 
alcuni Paesi, tra cui la Svezia e la Russia, a causa delle sue 
controverse posizioni dottrinarie. Dedito a ricerche bizzarre, inventò 
l’olio di Dippel, un estratto di organi animali che vantava come 
l’elisir di lunga vita alchemico e del quale offrì la formula in cambio 
del castello di Frankenstein, offerta che fu rifiutata. Lavorando con un
 certo Diesbach, fabbricante di vernici, Dippel usò una miscela del suo 
olio e di carbonato di potassio per ottenere un pigmento dal colore 
intensamente azzurro, il blu di Prussia.
Il nostro fu al centro di
 strane dicerie: per esempio alcuni sostenevano che compisse esperimenti
 raccapriccianti con i morti, nel tentativo di dislocare l’anima da un 
cadavere all’altro. A quel tempo il trasferimento dell’anima tra 
cadaveri mediante un imbuto era una prassi tentata spesso dagli 
alchimisti e Dippel sostenne questa possibilità in una dissertazione dal
 titolo Malattie e rimedi della vita della carne: quindi è possibile che
 anch’egli si desse a queste pratiche, anche se ne mancano prove 
dirette. È invece appurato che compisse spesso esperimenti di dissezione
 su animali.
La sua attività di alchimista, documentata 
nell’opuscolo citato, lo portò, a suo dire, a escogitare un metodo per 
esorcizzare i demoni mediante una certa pozione ricavata facendo bollire
 carni e ossa di animali. Secondo alcuni suoi contemporanei, verso la 
fine della vita, stremato dalle dispute con altri teologi, Dippel perse 
del tutto la fede e dichiarò che Cristo era un’entità «indifferente». Da
 quel momento dedicò tutte le sue energie all’alchimia, e si allestì un 
laboratorio (col tempo trasformato in una taverna che portava il suo 
nome, Dippelshof) non lontano da un altro maniero, il castello di 
Wittgenstein, che sorge nei dintorni della cittadina di Bad Laasphe, a 
nord di Darmstadt.
A questo punto le notizie che lo riguardano si 
fanno vaghe e le sue attività sempre più sospette: fu accusato di furto,
 sperimentazione sui cadaveri e commercio con il demonio. Conduceva una 
vita molto riservata e non è escluso che si compiacesse di alimentare 
lui stesso le dicerie sul suo conto, per esempio di aver venduto, come 
Faust, l’anima al diavolo in cambio di certi segreti innominabili. Da 
queste voci traeva profitto poiché, facendosi passare per praticante di 
magia nera, gli era più facile trovare chi volesse pagare per acquisire 
le sue conoscenze, compresi l’elisir di lunga vita e la pietra fi 
losofale. Dippel morì nel castello di Wittgenstein, forse per un colpo 
apoplettico, benché alcuni contemporanei sospettassero un avvelenamento.
 Per colmo d’ironia, un anno prima della morte, avvenuta nel 1734 
all’età di 61 anni, aveva scritto un opuscolo in cui sosteneva di avere 
scoperto l’elisir che gli avrebbe consentito di vivere fino a 135 anni.
Si
 sa che all’origine di Frankenstein si colloca una sfida a scrivere un 
racconto del terrore, sfida lanciata da Lord Byron nell’estate del 1816 a
 Percy Bysshe Shelley, Mary Godwin (poi Shelley), Claire Clairmont 
(sorellastra di Mary) e John Polidori, medico e segretario di Byron. La 
sfida, oltre che da Mary, fu raccolta da Polidori, che scrisse Il 
vampiro, una novella pubblicata nel 1819 e divenuta il capostipite di 
tutti i libri scritti su queste creature crepuscolari e sanguinarie, 
compreso il notissimo Dracula di Bram Stoker (1897). L’estate del 1816 
fu fredda e piovosa, sicché i cinque, non potendo fare le escursioni che
 avevano in animo, passavano gran parte del tempo all’interno della 
villa Diodati, situata sul lago di Ginevra, che Byron aveva affittato 
per qualche mese: leggevano, soprattutto storie di fantasmi, e 
conversavano, in particolare di argomenti che toccavano la vita, la 
morte e la rianimazione dei cadaveri mediante l’elettricità. A quei 
tempi era in gran voga il galvanismo e in genere era vivissima la 
curiosità per la scienza e per le sue applicazioni.
Non stupisce 
che la diciannovenne Mary fosse suggestionata sia dall’atmosfera della 
villa e dalle conversazioni che vi si tenevano sia da ciò che si sapeva 
di un personaggio singolare, Giovanni Aldini, un fisico bolognese nipote
 di Luigi Galvani. Nel gennaio del 1803 Aldini aveva compiuto a Londra 
certi esperimenti sul cadavere di un impiccato nella speranza, 
ovviamente vana, di richiamarlo in vita. All’epoca Mary era una bambina 
di sei anni, quindi non aveva potuto assistere a questo spettacolo 
atroce e grottesco, in cui il corpo, percorso dalla corrente generata da
 una potente pila, si contorceva, tremava, assumeva espressioni di 
dolore, strabuzzava gli occhi. Ma certo la futura scrittrice ne aveva 
sentito parlare ed è possibile che nel concepire la figura del 
protagonista del suo romanzo, Victor Frankenstein, essa abbia preso a 
modelli Aldini e l’alchimista Dippel e i loro tentativi di rianimazione 
dei cadaveri. Il ricordo delle imprese di Aldini era ancora molto vivo, 
mentre l’ipotesi di una suggestione dovuta a Dippel fu avanzata in via 
congetturale in un libro di Radu Florescu, In Search of Frankenstein 
(1975).
La visita al castello
A suffragare l’ipotesi di 
Florescu sta il fatto che nel 1814 la sedicenne Mary, che non era ancora
 Mary Shelley bensì Mary Wollstonecraft Godwin, fece, con il futuro 
marito Percy Shelley e con la sorellastra Claire Clairmont, un viaggio 
di cui è rimasta la cronaca, dovuta soprattutto alla penna di Mary: 
History of a Six Week Tour, pubblicata nel 1817. La cronaca descrive 
anche un secondo viaggio, compiuto dagli stessi nel 1816 per raggiungere
 il lago di Ginevra e la famosa villa Diodati. Nel 1814 i tre, partiti 
il 28 luglio da Londra, attraversarono la Francia fino alla Svizzera e 
di qui, risalendo la Germania lungo il Reno, giunsero in Olanda e 
salparono per l’Inghilterra. È probabile che Mary, Percy e Claire 
visitassero il maniero di Frankenstein, che era sulla loro strada, 
venendo a conoscenza delle storie e leggende che ancora circolavano su 
Dippel, nonostante l’alchimista fosse morto da oltre ottant’anni.
Inoltre
 Mary e Percy conoscevano alcuni componenti del «Kreis der Empfindsamen»
 (Circolo dei sensibili), che si riunì a Darmstadt dal 1769 al 1773, 
scegliendo spesso il castello di Frankenstein come sede delle sue 
letture pubbliche. È quindi possibile che le leggende su Dippel siano 
emerse anche nelle conversazioni tra i viaggiatori inglesi e i 
componenti superstiti del circolo. Si tratta di congetture non 
verificate, che tuttavia hanno trovato ampia risonanza in molte 
narrazioni popolari, dove la figura di Victor Frankenstein, della sua 
mostruosa creatura e dell’alchimista Dippel sono protagonisti di storie 
che si discostano di poco o di tanto dal romanzo di Mary. Resta il fatto
 che la ricerca delle radici storiche di questo libro straordinario 
continua, come, ancora dopo due secoli, il ricordo del «Moderno 
Prometeo» e del suo mostro inquieta il nostro immaginario.
 
