La Stampa 20.5.18
Più rimpatri e asili
Così Atene prova a fermare i nuovi migranti
Migliaia di arrivi malgrado l’accordo con la Turchia Si sblocca la rotta balcanica, centri sull’Egeo in crisi
di Niccolò Zancan
Considerati
i sei miliardi di euro pagati al presidente Recep Tayyip Erdogan per
fermare i migranti in Turchia, nessuno immaginava di trovarsi adesso in
questa situazione. Martedì il parlamento greco ha approvato una legge
per sveltire le domande di asilo e protezione internazionale. Ci sarà un
aumento del personale al lavoro: meno attesa, meno burocrazia. Ma anche
tempi più brevi per fare appello. Più respingimenti. Più rimpatri. E la
possibilità di estendere le limitazioni di viaggio sul territorio
nazionale a tutti i rifugiati in attesa di risposta: non vogliono che si
avvicinino alle frontiere. La legge è contestata dalle organizzazioni
umanitarie. Ma è il tentativo messo in campo del governo di Alexis
Tsipras per fronteggiare la nuova emergenza che sta prendendo forma alla
frontiera Sud-Est d’Europa.
La pressione sulle isole
I centri di
identificazione sulle isole del Mar Egeo scoppiano. Quello di Lesbo
arriva a contenere 6 mila persone in una struttura da 1800 posti. Dentro
le gabbie, le code per il cibo si allungano ogni giorno. Ci sono tende
ormai su tutta la collina, le condizioni igieniche sono disastrose e le
tensioni sono sfociate in devastazioni e proteste. Ci sono state anche,
nella notte fra il 23 e il 24 aprile, rappresaglie di gruppi neonazisti.
Sbarcati apposta per dare fuoco alle tende di alcuni ragazzi afghani. E
gridare slogan di morte.
Accoglienza al collasso
Il fatto è che
tutte le strutture della Grecia continentale sono piene. Le persone
ristagnano per anni senza fare passi avanti. Sono 65 mila i migranti
rimasti intrappolati dopo l’accordo siglato dall’Unione europea con la
Turchia a marzo 2016. Questo era il piano: i profughi dovevano essere
fermati dall’altra parte del mare. E chi era già in Grecia, doveva
restarci. Ma altre persone stanno arrivando. Nuovi migranti si
aggiungono ai vecchi, e i posti sono finiti. Sono famiglie siriane
scappate da Afrin e Kobane, ragazzi pachistani e afghani giovanissimi.
Molti iraniani e iracheni. Persino gruppi di nordafricani, algerini
soprattutto, che tagliano fuori la Libia e l’Italia per provare a
passare da qui.
L’Ungheria fa paura
Non sono numeri comparabili
con il grande esodo del 2015, quando più di un milione di esseri umani
percorse con ogni mezzo le strade della rotta balcanica. Ma 10.420
migranti dall’inizio dell’anno sono un numero sufficiente per mettere in
allarme l’Europa in vista dell’estate. E poi, è comparsa quella
tendopoli nel centro di Sarajevo: dove nessuno si aspettava di trovarla.
Il governo croato ha immediatamente lanciato l’allarme sul possibile
arrivo di 60 mila profughi alle sue frontiere. Cosa è successo? Cosa sta
cambiando?
«Quello che sappiamo tutti è che non bisogna passare
dall’Ungheria» dice Naimal Bari, 24 anni, partito dal Pakistan due mesi
fa. «Hanno muri, cani addestrati, guardie che sparano e leggi
spaventose. Molti di noi sono stati presi a bastonate su quel confine.
Oppure arrestati, e tenuti in carcere per anni. Sappiamo che dobbiamo
cercare altre strade. Piccoli valichi di montagna. Io tenterò fra
qualche giorno». Il ragazzo migrante Naimal Bari adesso si trova in
Bosnia a Velika Kladusa, 4 chilometri dal confine croato. «Proveremo di
notte, seguendo i sentieri».
Non è molto diverso da quanto sta
accadendo a Bardonecchia sul Colle della Scala, al confine fra Italia e
Francia. Ma quella è una frontiera interna. Passare dalla Bosnia alla
Croazia significherebbe, invece, riuscire ad entrare in Europa. Come era
già Europa la Grecia. Solo che Naimal Bari, come tutti i dannati della
rotta balcanica, sta lottando per raggiungere il Nord Europa. È quella
la meta sognata. Non vogliono fermarsi. «Io vorrei arrivare in Svezia, e
finora sta andando bene. Dalla Turchia sono passato in Grecia
all’altezza del fiume Evros: abbiamo comprato un canotto nella città
turca di Edirne. Poi in treno siamo arrivati a Salonicco. Dopo un po’ di
riposo, abbiamo fatto il passaggio in Macedonia comminando di notte:
abbiamo tagliato una rete metallica. Quindi, siamo sbucati in Serbia, e i
serbi ci hanno dirottati in Bosnia».
Accampati a Sarajevo
La
tendopoli di Sarajevo è stata smantellata tre giorni fa. Oggi è in
programma proprio la visita del presidente turco Erdogan. Non sarebbe
stato un bello spettacolo.
I profughi adesso sono al confine Nord,
come Naimal Bari. Oppure al confine Sud con la Croazia, nella piccola
città di Bihac. Lì, all’interno di un vecchio campus universitario
distrutto durante la guerra dei Balcani, circa 500 persone sono in
attesa. Tenteranno. Perché né i nuovi muri ai confini d’Europa, né i
miliardi pagati al presidente turco, sono ancora riusciti ad estinguere
la loro voglia di lottare per un’altra vita.