Associazione Culturale Amore e Psiche
supplemento di "segnalazioni" -
spogli di articoli apparsi sulla stampa e sul web
domenica 20 maggio 2018
La Stampa 20.5.18
“Israele e Arabia più vicini, così cambia il mondo”
di Lionel Barber
è direttore del Financial Times dal 2005 e ha contribuito a trasformarlo in un’agenzia di comunicazione globale e multicanale
«È il giornale della globalizzazione. Offre una prospettiva globale su politica, economia, finanza e affari. Abbiamo 568 giornalisti. La sede è a Londra, nella City ma abbiamo una rete mondiale di oltre 100 corrispondenti».
Il FT va bene?
«Abbiamo circa 1 milione di lettori a pagamento, due terzi nel Regno Unito e negli Usa, 20 % in Europa, e il resto in Asia. Il gruppo Nikkei, il nostro nuovo proprietario giapponese, è un investitore a lungo termine e ci garantisce un’assoluta libertà editoriale. Siamo molto soddisfatti»
Il mondo sta andando come dovrebbe secondo il FT?
«Il presidente Trump è il Distruttore in capo. Sta mettendo in discussione non solo l’eredità del suo predecessore Obama, ma persino i fondamenti basilari dell’ordine liberale del dopoguerra. Dice che le alleanze sono scomode e vuole arrivare a un aggressivo bilateralismo. Non sono i nostri valori. Fondamentalmente è una sfida all’approccio europeo verso il mondo ed è anche molto diverso da ciò che disse un anno fa, quando esprimeva totale adesione ai valori della Nato».
Cosa è cambiato?
«È entrato nel ruolo, ritiene di agire per il meglio, e ha cambiato squadra. I globalisti, come Gary Cohn e H.R. McMaster se ne sono andati e adesso è circondato da gente che crede nel bilateralismo più feroce. E pensa che il suo approccio fortemente transazionale si dimostrerà vincente. Un anno fa sono andato alla Casa Bianca a intervistarlo e c’era il caos più totale, sembrava un set cinematografico, gente che andava e veniva . Riuscii perfino a mettere il telefono sulla sua scrivania, un’evidente falla nella sicurezza. A settembre quando sono tornato tutto era stato risolto. Tuttavia, come ho scritto in aprile “c’è un po’ più di metodo nella follia di quanto non appaia a prima vista”. Non c’è ancora una vera procedura, perché Trump non crede nelle procedure e gli piace tenere tutti in bilico»
È più professionale?
«No, per nulla; si diverte a infrangere le regole, a essere imprevedibile. La prima domanda per me è: in cosa crede veramente? E la seconda è: quanto del suo atteggiamento, i tweet, il voler essere al centro dell’attenzione, è in realtà solo una gigantesca distrazione da ciò che davvero accade? Ho chiesto a Bannon: “State facendo impazzire la gente, ma in realtà ci distraete?” E lui ha detto: “Sì. In Marina lo definivamo un tiro diversivo”».
In che cosa crede Trump?
«Fondamentalmente, nel potere americano. Crede che l’America abbia combattuto troppe guerre oltreoceano. Se si pensa al costo dell’ Iraq e dell’Afghanistan, 2,3 trilioni di dollari, si vede come nasce questa convinzione. Ed è anche convinto che il potere americano debba occuparsi delle minacce nucleari, in particolare del Nord Corea».
E le sue idee sul riassetto economico dell’America?
«Ha una visione Anni 50 di ciò che ha reso grande l’America, basata sulla produzione manifatturiera. Pensa, secondo me a torto, che l’America non abbia beneficiato della liberalizzazione del commercio globale. E pensa anche che sia stata superata da altre nazioni, in particolare dalla Cina».
Ma le sue azioni hanno provocato un’immediata reazione da parte della Cina, no?
«Normalmente, durante un negoziato, i presidenti calcolano il prezzo richiesto e finché sono disposti a negoziare. Trump inizia chiedendo il 99% e poi si ritira e aspetta di vedere fino a dove scende l’altro. Il suo stile di negoziazione è progettato per intimidire. Probabilmente ha capito che i cinesi si sarebbero vendicati, ma per lui sono solo affari».
Trump ha rotto l’accordo con l’Iran. Cosa ne pensa?
«Che era prevedibile; l’ha detto che era il peggiore affare di sempre. Il paradosso è che se l’Iran riprende i suoi programmi nucleari, l’Arabia Saudita diventerà un’altra potenza nucleare. Il che potenzialmente è molto allarmante».
E che mi dice di Israele?
«Trump è amico di Israele. I sauditi non saliranno sulle barricate per i palestinesi e nemmeno faranno storie per l’ambasciata Usa a Gerusalemme. L’avvicinamento tra Arabia Saudita e Israele dà la misura di come stia cambiando il mondo. Non è un caso che Trump abbia scelto l’Arabia Saudita come meta del suo primo viaggio all’estero».
Il bombardamento in Siria è una mossa contro la Russia?
«No, è stato prima concordato con la Russia, non è stata assolutamente una mossa antirussa. Partiva dal presupposto che chi usa armi chimiche va incontro a una risposta militare. Io lo definisco un approccio Abo (Anything But Obama - tutto tranne quel che ha fatto Obama) alla politica estera».
Trump è contro l’Europa?
«No, ma è influenzato da persone come Nigel Farage, che lui considera un grande rivoluzionario. Per Bannon è un eroe. Per loro la Brexit è una liberazione».
L’ Europa si rimpicciolisce?
«L’Ue parla ma non agisce. Al vertice di Lisbona del 2000 si discusse di come rendere competitiva l’economia europea entro il 2010, ma non è andata così. Al momento siamo schiacciati tra l’America e il potere emergente della Cina. Merkel, Macron e Tony Blair dicono di aspettare che passi la tempesta, ma ora come ora sullo scacchiere geopolitico noi siamo forse alfieri, certo non re, né regine o torri».
Traduzione di Carla Reschia