sabato 19 maggio 2018

La Stampa 19.5.18
Francesca Santarelli, psicologa cognitiva
“Il blackout può durare svariate ore
Un lutto simile non si supera da soli”
di Andrea Fioravanti


«É come se un tubo venisse spezzato a metà. Da quel momento la persona va avanti con il pilota automatico». Usa una metafora semplice Francesca Santarelli, psicologa cognitiva di Milano, per spiegare l’amnesia dissociativa. Per colpa di questo meccanismo psicologico una persona non è in grado di ricordare cosa è accaduto nell’arco di poche ore. In altre parole un buco nella memoria dovuto allo stress. Ci si può scordare un mazzo di chiavi, una commissione da fare. È crudele, ma è lo stesso meccanismo che può portare un genitore a scordarsi il proprio figlio in auto, così convinto di averlo lasciato all’asilo da rendersi conto del tragico errore dopo molte ore. Come è successo ieri nel pisano, dove una bambina di meno di un anno è morta dopo essere stata chiusa in auto per sette ore nel parcheggio dell’azienda del padre.
Dottoressa Santarelli, quali sono gli effetti dell’amnesia dissociativa?
«Si perde di colpo il controllo e la razionalità del momento. È come se una parte del cervello andasse in blackout. La nostra coscienza si spezza e in quel buco della memoria generato anche dallo stress, il blackout può durare secondi, minuti, ore. E solo dopo ci si accorge di cosa o chi abbiamo lasciato indietro».
Quali persone sono più a rischio di contrarre quest’amnesia?
«Chiariamo una cosa: ci deve essere una predisposizione. Di solito accade alle persone ossessive che hanno disturbi d’ansia. Oppure a chi ha avuto “traumi”, soprattutto nel rapporto con i genitori».
Quali possono essere i fattori scatenanti?
«Lo stress, il cambiamento di routine, una discussione forte con una persona importante nella nostra vita. Oppure qualsiasi cosa che colleghi casualmente all’evento traumatico. In altre parole è come se una persona portasse sulle spalle uno zaino troppo pesante per troppo tempo e crollasse di botto. Basta anche un po’ di stress per far saltare tutto».
Perché secondo lei sono sempre più frequenti i casi di genitori che si dimenticano i bambini in macchina?
«Oggi i genitori sono sottoposti a una pressione sociale forte. Come se dovessero per forza essere multitasking. Se a una storia traumatica si aggiungono ritmi scatenati e uno stress forte, il buco nella memoria è dietro l’angolo. Durante la giornata il nostro cervello è come un hard disk, a un certo punto va in sovraccarico e si spegne di getto».
Come fa un genitore a superare una tragedia del genere?
«Non si può generalizzare, la rielaborazione del lutto è soggettiva e varia in base alla personalità. Ci sono però delle caratteristiche comuni: chi è leggermente ossessivo o depresso lo sarà ancora di più. Se si ha un altro figlio, il rischio è che questo subisca attenzioni e controllo anche in modo quasi maniacale dal genitore che si sente in colpa».
Come si supera il lutto?
«È un trauma troppo grande. Non si può elaborare razionalmente da soli. C’è bisogno almeno di una terapia di gruppo».