giovedì 17 maggio 2018

La Stampa 17.5.18
Sfida fra uomini e robot
Entro il 2050 un terzo dei lavoratori americani sostituito da androidi: “Reagiamo alla catastrofe”
di Paolo Mastrolilli


Il nuovo robot «R1» dell’Istituto italiano di tecnologia che ha sede a Genova. 2. Il robot venditore «Gisela» mentre assembla un gioco davanti al pubblico in un chioschetto di Berlino. 3. La catena di montaggio di Tesla: quando l’azienda americana ha fallito i suoi obiettivi di produzione a causa di sbagli dei robot, il fondatore Elon Musk ha detto che «l’automazione eccessiva è stata un errore. Gli esseri umani sono sottovalutati». 4. Il robot «Pepper» mentre accoglie gli ospiti al Vodafone 5G Lab. 5. Il robot «Nao» batte il pugno contro quello di un uomo nello stand della IT fair CeBIT di Hannover

Un terzo dei lavoratori americani tra i 25 e 54 anni d’età sarà rimpiazzato dai robot entro il 2050. Ciò provocherà fortissime tensioni sociali, favorendo ancora di più l’ondata populista. Fin qui le previsioni allarmanti, che in parte già conoscevamo. Nello stesso tempo, però, esistono aziende che stanno già sfruttando al meglio questa tendenza storica, usando le macchine per i compiti più facili e ripetitivi, e assumendo esseri umani per quelli più complessi. La chiave è prepararli per i nuovi lavori, e assistere quelli che comunque non riusciranno a superare indenni la fase della transizione.
I pregi
Il tema sempre più impellente della robotica e dell’intelligenza artificiale è stato discusso lunedì alla Brookings Institution, durante un conferenza organizzata per presentare il nuovo libro del vice presidente Darrell West, intitolato appunto «The Future of Work».
Cominciamo dalle notizie brutte, o preoccupanti. West sostiene che «il 12% degli uomini in età da lavoro è già privo di occupazione», e un terzo del totale sarà rimpiazzato dai robot entro il 2050. Per le minoranze svantaggiate, come gli afro americani, il numero salirà al 50%: «Questa, cari amici, sarà una catastrofe». Ma opporsi all’automazione sarebbe come ostinarsi a viaggiare sulle carrozze tirate dai cavalli dopo l’invenzione delle auto. Andrew Puzder, ceo di Hardee, spiega così il motivo: «Gli strumenti digitali sono sempre gentili, non vanno mai in vacanza, non arrivano mai tardi, non scivolano e non si fanno male, non provocano discriminazioni sessuali, razziali o di età, vendono sempre più delle attese». Impedite alle aziende di usarli, e perderete tutto, perché falliranno.
I cambiamenti, secondo West, saranno molto più rapidi di quanto pensiamo: «Nei prossimi cinque anni la gente verrà genuinamente scioccata dal vedere quanto correrà veloce la rivoluzione tecnologica». Entrerà in tutti i settori, dalle auto a Wall Street, dalle manifatture alla sanità, inclusi gli interventi chirurgici. Bank of America stima che entro il 2020 il 47% dei lavori americani potrebbe essere già automatizzato.
Il disagio
«Nuovi posti - secondo West - verranno sicuramente creati. Il problema è che molte persone non avranno le capacità tecniche richieste per questi lavori. Perciò ci sarà un periodo di transizione con una considerevole turbolenza. La tecnologia creerà ansia economica, e la gente ansiosa è una grande ricetta per i leader populisti. Ne emergeranno a destra e a sinistra, andiamo verso un periodo di trumpismo pompato con gli steroidi. Penso che sarà una fase caotica».
Non tutto è perduto, però. Secondo West siamo davanti a un crocevia: «Un sentiero porta verso Utopia, con una società più inclusiva, più tempo libero e cultura; l’altro va verso Distopia, con alta disoccupazione, disuguaglianza e servizi sociali non garantiti». Presumendo che la prima strada sia quella preferita da tutti, il problema diventa capire come imboccarla.
Nell’immediato, la prima cosa da fare è gestire il disagio. Dovremo lavorare meno, e guadagnare meno, per poter lavorare tutti. In cambio saremo ripagati con più tempo libero, da dedicare alla famiglia e ai piaceri, possibilmente non troppo costosi. La riqualificazione professionale diventerà un’abitudine costante, mentre le alternative al classico impiego fisso, come volontariato e assistenza, si trasformeranno in attività normalmente riconosciute.
Dunque bisognerà scrivere un nuovo contratto sociale, che separi servizi e benefici dalle tradizionali forme di lavoro. Qualcuno non ce la farà comunque a superare indenne la transizione, e siccome converrà a tutti evitare che finisca in mezzo alla strada, sarà necessario trovare il modo di aiutarlo.
Lo studio
Per il futuro, invece, è indispensabile «cambiare i programmi delle scuole, in modo da preparare gli studenti ai lavori del Ventunesimo secolo». Il coding, ad esempio, dovrà diventare una capacità scontata come leggere e scrivere, mentre per la Gallup il 59% dei ceo pensa che l’abilità nel gestire e analizzare i dati sarà essenziale in ogni settore.
Alcune aziende si stanno già adeguando. Secondo il «Wall Street Journal», ad esempio, nella fabbrica di Spartanburg la Bmw ha introdotto l’automazione, raddoppiato la produzione, e aumentato i dipendenti da 4.200 a 10.000. Come? Assegnando alle macchine i compiti più facili e ripetitivi, e agli esseri umani quelli più creativi e di controllo della qualità. Quando Tesla ha fallito i suoi obiettivi di produzione a causa di errori dei robot, il fondatore Elon Musk ha detto che «l’automazione eccessiva è stata un errore. Gli esseri umani sono sottovalutati». Ecco, dalla ricerca di un equilibrio dipenderà il nostro futuro.