La Stampa 13.5.18
Le combattenti curde che fanno la guerra senza perdere la tenerezza
di Alb. Mat.
In
tutta questa celebrazione di #MeToo, le vere donne del giorno a Cannes
sono però le guerriere curde di Les filles du soleil, «Le ragazze del
sole», della regista francese Eva Husson. Siamo nel Kurdistan iracheno,
qualche anno fa o anche adesso. Una reporter di guerra francese,
Mathilde (Emmanuelle Bercot), che ha appena perso un occhio a Homs e il
marito collega saltato su una mina in Libia, arriva per documentare la
guerra fra i curdi, appoggiati dalla coalizione internazionale, e
l’Isis. E qui si imbatte in Bahar (bella e bravissima Golshifteh
Farahani), un’avvocatessa con studi a Parigi che aveva una vita normale e
felice, uno studio professionale, un marito e un figlio. Tutto
distrutto dall’arrivo degli islamisti: il marito disperso, probabilmente
ucciso come moltissimi altri, il figlio prigioniero dai kamikaze in
nero, forse allevato e indottrinato per diventare uno di loro, lei
catturata, violentata, venduta e rivenduta, frustrata per aver tentato
di fuggire e poi salvata in extremis. E decisa a combattere per
ritrovare suo figlio.
Il film si svolge su due registri. Uno è la
guerra, e qui le donne soldato curde non solo non risultano seconde agli
uomini, ma li spronano all’azione e li precedono negli assalti. Quella
di Bahar è un’unità formata tutta di ex prigioniere, che hanno visto
troppo da vicino l’inferno per avere paura di morire. Stanno assediando
la città dove vivevano, e non sopportano più le prudenze della
diplomazia e le esitazioni dei generali. L’altro registro, sono i flash
back di Bahar, che ricorda il suo calvario.
È un film curioso: di
guerra, con sequenze fatte molto bene, centratissime nella descrizione
dell’angoscia e della tensione e anche della paura, la naturale paura
dei combattenti, ma tutto al femminile. Di uomini se ne vedono pochi,
figure sullo sfondo, gli orrendi assassini in nero, i soldati curdi, il
loro generale che cerca di frenare lo slancio delle sue amazzoni.
E
c’è una grande solidarietà femminile. Fra le guerriere curde e la
giornalista francese nasce subito una sorta di fratellanza (o
sorellanza?) d’armi, una comunione di esperienze. E queste guerriere
sono davvero magnifiche, forti, determinate, coraggiose senza perdere la
tenerezza. Capaci di esfiltrare dalla città occupata dall’Isis una di
loro, che partorisce appena raggiunta la libertà, ed è la scena più
emozionante.
Il film, a detta di molti, è palmabile: opera di una
donna sulle donne, in un’edizione in cui è questo il tema di Cannes.
Chissà. Il paradosso è che, dopo aver visto queste donne combattere e
morire, le rivendicazioni di altre donne portate ieri in passerella, per
carità giustificate, sacrosante, quel che volete, appaiono di colpo
meno urgenti.