La Stampa 13.5.18
Edgar Morin
Torno a raccontare il Sessantotto. La rivoluzione non è finita
dii Mario Baudino
Edgar
Morin pubblica per Cortina una raccolta di scritti sul ’68 e la
intitola La breccia. È la metafora che il grande sociologo francese usò
fin da subito, cronista in diretta del Maggio, antropologo della rivolta
studiata dall’interno, in due lunghi articoli su Le Monde. Ora, a
distanza di cinquant’anni, lui che nato Edgard Nahoum nel 1921 ha
vissuto adolescente il ’36 e la esaltante vittoria delle sinistre nella
Francia pre-bellica, ha combattuto nella Resistenza (trasformano il suo
nome di battaglia in cognome anagrafico), ha partecipato ai movimenti
che contestavano la guerra d’Algeria e soprattutto non ha mai smesso di
studiare le dinamiche sociali e culturali, è convinto che quella breccia
non si è ancora chiusa.
In che senso, professore?
«Nel
senso che il Maggio francese non fece certo crollare la società borghese
e forse non la cambiò di molto, ma aprì una breccia sotto la linea di
galleggiamento di quel transatlantico magnifico che sembrava avviato
verso un radioso futuro. La nave della società pareva solidissima, e
invece scoppiò una rivolta generazionale. Gli adolescenti rivendicarono
un’utopia libertaria, che contagiò tutti, gli operai, i borghesi, gli
intellettuali. Finì presto, con la ricomposizione del vecchio sistema
sociale e la deriva marxista leninista, ma quel che accadde fra il 3 e
il 13 maggio rappresenta una delle rare estasi della storia, in cui
tutti improvvisamente stanno benissimo, nessuno va da più dallo
psicanalista o dal medico, nessuno ha più problemi nervosi».
Una sospensione improvvisa, ludica e fragilissima, del freudiano disagio della civiltà?
«Le
cui tracce, oggi, si vedono però nel volontariato, nel mondo
dell’economia solidale, nella volontà di una vita migliore senza
inquinamento e senza sopraffazione. Questa è la breccia ancora aperta,
la vera eredità, anche se la società è cambiata da allora. Pensi al mito
del progresso».
In quel momento, non solo in Francia ma un po’ in tutto il mondo, una generazione di giovanissimi cominciò a dubitarne.
«Negli
Anni Sessanta si era formata una bio-classe, con una cultura comune,
valori condivisi, persino un certo modo di vestire. La loro fu una
rivolta contro gli adulti, che coinvolse e trascinò con sé gli adulti.
Il fenomeno non si è più ripetuto. E oggi, in tutti i Paesi, sappiamo
che la legge del progresso non è più vera. Il futuro non significa
automaticamente un miglioramento, ma semmai incertezza e angoscia. Le
conquiste sociali di un tempo non esistono più, il dubbio coinvolge
persino l’idea di democrazia e dei suoi valori. Tutto questo, senza che i
più ne avessero la percezione, è cominciato allora».
Nostalgia?
«No,
nostalgia mai. Ma ricordo la prima delle giornate del Maggio, il clima
di festa, di libertà, di originalità. Il Super-Io dello Stato e della
società si erano paralizzai, erano spariti. Sono momenti speciali,
rarissimi. Ne ho vissuti anche altri: la liberazione di Parigi nel ’44,
la rivoluzione dei garofani in Portogallo nel ’74, la caduta del Muro
nell’89»
Le primavere arabe?
«Nei primi giorni, anche se
poi, a differenza di questi altri momenti storici, si sono
drammaticamente trasformate nel loro contrario».
Una lettura in
prospettiva dal ’68 a oggi sembra dirci che l’utopia libertaria è
destinata a essere sconfitta dal ritorno della politica e
dell’ideologia.
«Oggi c’è la necessità di ripensare la politica,
di lavorare alla ricostruzione di un pensiero politico: guardi i nostri
due Paesi. Macron, con la sua avventura personale, ha decomposto la
vecchia politica, ma non è riuscito nella ricomposizione di un pensiero
nuovo. In Italia siete alla compiuta decomposizione dei partiti storici,
e anche qui la necessità di una ricomposizione è evidente, anche se al
momento non se ne vede la prospettiva. In gran parte dell’Europa
trionfano forze di destra, revansciste, nazionaliste, populiste».
Nel
suoInsegnare a vivere(uscito due anni fa sempre per Cortina) lei punta
sull’insegnamento. Non su una ennesima riforma della scuola o
dell’Università, ma su un nuovo orizzonte che superi la barriera tra
saperi tecnologico-scientifici e formazione umanistica.
«Ci sono molte vie d’uscita dalla nostra attuale situazione, ma questa resta per me la principale».
Anche contro chi rivendica la propria ignoranza come un valore?
«Viviamo
in una società di illusioni, come quella che ha appena citato. Un solo
fatto è certo: la vera educazione per vivere non esiste ancora. Neppure
io so quale sia. Ho scritto un libro. Spero che la si scopra insieme».