lunedì 14 maggio 2018

internazionale 11.5.18
Rao Pingru
Vita a tratti
Faceva parte dell’aristocrazia cinese, ha combattuto contro i giapponesi ed è finito in un campo di concentramento comunista. A 91 anni ha pubblicato il suo primo libro, un’autobiografia illustrata di Anatxu Zabalbeascoa, El País, Spagna


A desso che possono avere tutto hanno paura di perdere la memoria”. Rao Pingru, nato a Nanchang nel 1922, spiega così il successo della sua autobiografia illustrata, Pingru Meitang: Woliade gushi (Pingru e Meitang: la storia di noi due), che racconta la sua vita e i suoi sessant’anni di matrimonio. Rao Pingru non cercava il successo internazionale, anzi, non aveva mai pensato di pubblicare il libro: “Quando è morta mia moglie ho deciso di raccontare la nostra vita ai miei figli e ai miei nipoti. Tutto qui”. Rao Pingru e Meitang, sua moglie, arrivarono a Shanghai alla fine del 1950. Prima andarono a vivere in una camera in affitto, poi nell’estate del 1952 si trasferirono nell’appartamento di 36 metri quadrati composto da due stanze in cui la coppia e i suoi cinque figli avrebbero vissuto per 51 anni. A quei tempi in città c’era solo un grattacielo, il Park Hotel. Oggi ce ne sono centinaia. Con circa 24 milioni di abitanti, Shanghai è la città più popolosa della Cina. Per questo è diicile farsi un’idea di come fosse quando la coppia si trasferì qui. Rao Pingru faceva il contabile e il correttore di bozze nella casa editrice dello zio. “Fu l’epoca più felice per me: guadagnavo bene e facevamo una vita agiata”, ricorda mentre beve un tè nell’appartamento del Rao Pingru Vita a tratti Faceva parte dell’aristocrazia cinese, ha combattuto contro i giapponesi ed è finito in un campo di concentramento comunista. A 91 anni ha pubblicato il suo primo libro, un’autobiografia illustrata Anatxu Zabalbeascoa, El País, Spagna. Foto di Yolanda vom Hagen figlio minore, Shunzeng. Quella felicità durò poco. Nel 1956, sette anni dopo la proclamazione della repubblica popolare, la casa editrice fu nazionalizzata e nel 1958 Rao Pingru fu mandato in un campo di rieducazione, come venivano chiamati i campi di concentramento creati da Mao Zedong durante la rivoluzione culturale per le sue epurazioni. Durante la guerra civile tra il partito nazionalista e quello comunista Rao Pingru aveva combattuto con gli sconitti, i nazionalisti, e per questo, senza essere neanche processato, fu spedito nella provincia di Anhui. Passò i primi dieci anni nella brigata di scavo, poi lavorò in una fabbrica che produceva componenti delle automobili. Nei 22 anni in cui vissero separati, Rao Pingru e Meitang si vedevano solo due settimane all’anno, quando lui tornava a Shanghai per festeggiare l’anno nuovo con la moglie e i igli. Nel 1979, pochi mesi prima che nascesse il primo nipote, Rao Pingru tornò a casa. La famiglia festeggiò l’avvenimento nello studio di un fotografo. Un disegno nel libro ricrea quel momento. Marito e moglie avevano già i capelli bianchi. A 96 anni, Rao Pingru mostra un’agilità mentale e isica fuori dal comune. Cucina, suona il pianoforte, disegna e ha scritto un altro libro. “Ma i miei igli non mi fanno più andare in bicicletta”, si lamenta. Il iglio minore spiega che gliel’hanno proibito dopo che aveva pedalato per venti chilometri in cerca di tortini di riso ripieni di carne. “Ha perso la chiave del lucchetto ed è tornato con la bicicletta in spalla”. Shunzeng, il iglio minore, ha 64 anni e fa lo psichiatra. Anche lui è stato mandato in un campo di rieducazione quando aveva quindici anni. Il partito comunista voleva che gli studenti lavorassero la terra. Molti dei suoi pazienti sono giovani. “Sono depressi perché non gli piace quello che vedono, oppure sono ansiosi perché non ottengono quello che vogliono”, racconta. Salvato da un libro Rao Pingru non ha mai perso le speranze, nonostante la dura vita nei campi di lavoro. In quegli anni ha imparato l’inglese. “Ogni giorno memorizzavo una frase. Quando ne ho imparate 408 sono riuscito a parlare”. La durezza dei lavori forzati variava da provincia a provincia: “Ad Anhui non abusavano troppo di noi. Ci lasciavano decidere se potevamo portare trenta, quaranta o cinquanta chili. Quando hanno scoperto che sapevo scrivere mi hanno messo a fare degli articoli”. “Cosa scriveva?”, gli chiedo. “Storie di gente che lavorava molto”, risponde lui. “Propaganda?”, gli dico, e lui ammette: “Sì, propaganda”. Il carattere di Rao Pingru è stato la sua salvezza. “Nel campo molti si sono suicidati. Era vietato studiare, ma io avevo un libro in inglese. Sono sempre stato ottimista”. Come riusciva a esserlo? “Quando mi sono arruolato nell’esercito a diciotto anni pensavo che stavo salvando il mio paese dagli invasori giapponesi; poi dai comunisti insorti di Mao Zedong”, racconta, “Non sapevo distinguere tra i nazionalisti del Kuomintang e i comunisti. Non abbiamo capito di far parte di una delle due fazioni fino a quando non siamo arrivati allo scontro. Volevo lottare per la Cina, non contro i cinesi. Non mi sono sacrificato per mantenere i
miei privilegi, pensavo di combattere per il mio paese. Mi sono fatto forza sapendo di non aver fatto male a nessuno. Non ho una grande casa né delle macchine, ma ho avuto una moglie che mi capiva. So scrivere e disegnare, non sono un buono a niente. Sapevo che se fossi riuscito a sopravvivere avrei visto la luce. L’unica libertà di cui ho bisogno è quella mentale”. Il primo viaggio Nel 2017 Rao Pingru ha viaggiato per la prima volta fuori dalla Cina. È andato in Francia per presentare il suo libro al festival di Angoulême, il salone del fumetto più importante del mondo. Era l’ospite d’onore. “Le cose da mangiare e le abitudini sono diverse, ma il buon senso è lo stesso: ci piace la pace e l’amicizia”, commenta Rao Pingru. All’improvviso gli s’illuminano gli occhi e mi chiede: “Francisco Franco era buono o cattivo?”. “Era un dittatore. Fece un colpo di stato. Non fu un presidente eletto”, gli rispondo. “La democrazia è un’illusione”, commenta. A quel punto gli dico: “Ha avuto dei problemi a pubblicare il libro?”. Lui ribatte: “No. Il vecchio governo comunista ha fatto cose terribili, ma anche altre buone. Quando aveva cinque anni, mio figlio si perse e la polizia lo ritrovò”. “Quindi oggi va tutto bene?”, lo incalzo. “Non tutto. Ci sono ladri, anche assassini. Ma non qui in campagna. E neanche a Shanghai, perché è una città internazionale. Facciamo progressi”, ribatte. “Il governo comunista però voleva convincere sua moglie a divorziare”, aggiungo. “Ma lei ha detto che non ero un assassino, un traditore o un cattivo marito. Quando l’ho conosciuta era ricca, poi ha lavorato ino a quando ha retto. Credevamo l’uno nell’altro. Questo ci ha salvato. Mia madre era buddista e ci ha insegnato ad aiutare i poveri. Anche questo ci ha salvato. Abbiamo sempre saputo convivere”. Oggi Rao Pingru vive insieme al figlio e alla nuora in un appartamento di cento metri quadrati. Stanno lì anche la nipote e il marito, che si sono conosciuti grazie al nonno. “Fa il cameraman, è venuto a filmarmi. La mia nipote di 32 anni, che non era mai stata fidanzata, si è innamorata”. I tempi sono cambiati, la moglie era stata scelta da suo padre. “Meitang era la figlia di un suo carissimo amico”. Da bambino, Rao Pingru viveva a Nanchang, capoluogo della provincia dello Jiang xi, in una casa con sei cortili e una stanza per le cerimonie buddiste. Aveva dei domestici, un salone per i ricevimenti, uno studio per il padre, che faceva l’avvocato, e un giardino dove la nonna coglieva i fiori da friggere. Nel libro parla del suo ricordo più antico: la cerimonia che celebrava al risveglio. I servi la facevano alle tre di notte. I genitori e il precettore aspettavano davanti a un ritratto di Confucio. Sul tavolo c’erano un pennello, della carta, l’inchiostro e una pietra da inchiostro. Il precettore guidava la sua mano per tracciare i caratteri. Racconta anche che, pur avendo domestici, da quando aveva otto anni era lui a servire il riso ai genitori. “Queste tradizioni si sono perse. Eravamo ricchi, ma la ricchezza non deve farti diventare stupido. Oggi i genitori servono i figli continuamente”, spiega. Succede perché hanno un solo figlio? “Ora se ne possono avere due, ma sono viziati. Da piccoli imparavamo da Confucio e da Mencio che la tolleranza è la virtù principale. E anche che la felicità è dentro di noi. Il comunismo trattava allo stesso modo uomini e donne. L’idea alla sua base era l’uguaglianza. Ma c’era anche tanta povertà”, risponde. “Quando sono cambiate le cose?”, gli chiedo. “Quando la Cina si è aperta al mondo, nel 1978. Deng Xiaoping ha portato la libertà”, mi risponde. “Cos’è successo in piazza Tiananmen dieci anni dopo?”, gli dico allora. “Non ricordo questo incidente. Non so di cosa stai parlando. La nostra vita è migliorata. Non solo la mia. I vecchi ufficiali del partito comunista sono stati sostituiti”, ribatte lui. Rao Pingru è così. Quando gli si chiede se è libero, risponde: “Sono felice. Secondo la tradizione cinese, quando una persona muore si scrive un epitaffio su due colonne. Il mio è già pronto”. Lo recita cantando e poi lo traduce: “Quando il nostro paese è stato in pericolo ho abbandonato l’accademia. Sono stato alla scuola militare di Huangpu e sono diventato soldato. Ho combattuto contro i giapponesi e non ho avuto paura di dare la vita per il mio paese”. Poi fa una pausa e canta la seconda colonna: “Sono vecchio e felice. La Cina vive un’epoca di prosperità con un governo vicino alla gente. Per questo sorriderò quando abbandonerò questo mondo”. Dopo aver cantato, aggiunge: “Sono abbastanza libero. Possiamo parlare con stranieri come voi. Fino agli anni ottanta non potevamo farlo”. Rao Pingru è critico nei confronti della nuova società cinese: “I giovani hanno troppo. Non sanno cos’è la guerra. Vogliono solo divertirsi. Prima non sapevamo niente su quello che ci circondava. Se sai cos’hanno gli altri, vuoi averlo anche tu. Questo crea frustrazione e ansia. Quando eravamo giovani, ci sentivamo tutti uguali. Per questo credevamo nel comunismo. Adesso abbiamo perso gli ideali. La nostra salute è migliorata, ma la vita spirituale è più povera. Confucio dice che tutti vogliono essere ricchi ma che, se l’obiettivo viene raggiunto in modo disonesto, rovina le persone”. Un uomo curioso Secondo Rao Pingru, ogni generazione perde qualcosa e guadagna qualcosa. “Noi ci muovevamo in bicicletta o in autobus. Oggi i miei figli e i miei nipoti vanno in macchina”. Quando gli racconto che in Europa stiamo lasciando la macchina per tornare alla bici, annuisce: “Siamo vent’anni indietro. Questa è una fase di transizione e la gente vuole ottenere dei cambiamenti immediati. Ma per i cambiamenti veri ci vuole tempo, anche se arrivano delle novità come lo smartphone”. Lui non ce l’ha. “Ho paura di diventare dipendente. Chi ce l’ha non lo molla mai”, spiega. Quando lo saluto e mi rimetto le scarpe sulla soglia, chiedo se è comune che, entrando in una casa cinese, ci si tolga le scarpe come in Giappone. “Sa perché il Giappone è un paese così forte? Perché prima hanno imparato da noi, e poi anche dal mondo occidentale. E hanno raggiunto la prosperità”, dice. “Prima che disegnasse la sua vita, i suoi nipoti sapevano com’era stata?”, gli chiedo. “Per niente. Per questo ho fatto il libro. Ho cominciato la mia vita da ricco. Poi è arrivato un periodo duro. Ora sono una persona normale, con una vita piena”, risponde lui, “il mio segreto è la curiosità. Non ho mai smesso d’imparare. Una persona educa con l’esempio, non con le parole. Oggi tutti hanno fretta e tutto sembra avere la stessa importanza. Ma la cosa più importante è la memoria. Se perdi i soldi, li puoi riguadagnare. La memoria è un’altra cosa. Se la perdi, scompari”.