Il Sole Domenica 6.6.18
Carlo Borghero
Sulle vie della modernità
La
storia della filosofia narrata senza rigidità. Con attenzione alle
correnti di pensiero che si presentano, scompaiono, ritornano
di Tullio Gregory
Impegnato
da decenni in un assiduo lavoro su testi filosofici dell’età moderna,
convinto che le dottrine depositate in tali testi siano fatti «non
deducibili, ma raccontabili con i metodi delle altre discipline
storiche», posto che l’analisi filologica è condizione della loro
intelligenza e che non esiste una filosofia perenne con i suoi massimi
problemi, Carlo Borghero ha portato contributi fondamentali nel
variegato campo di dottrine intese come filosofiche, soprattutto fra
Seicento e Settecento, settore privilegiato delle sue ricerche.
Oggi
raccoglie, in nuova forma e spesso scrittura, quei saggi che più
direttamente incidono sulla metodologia della ricerca storica,
delineando anche un articolato panorama critico di un dibattito sulla
storia della filosofia che ha avuto soprattutto in Italia grande
significato, in relazione all’esemplare lavoro di Eugenio Garin, sia
come storico del Rinascimento e dell’età moderna, sia per le proposte
metodologiche presentate nella fortunata e discussa raccolta di saggi,
riuniti nel 1959 sotto il titolo La filosofia come sapere storico.
Dibattito di grande rilievo eppure rimasto chiuso nell’ambito italiano,
come sottolinea Borghero, all’interno di barriere linguistiche e insieme
di suggestioni nazionalistiche delle diverse culture.
Poiché
Borghero è uno storico, sa che anche il discorso metodologico è
storicamente incarnato, non si svolge nell’iperuranio delle idee, ma
nell’impuro lavoro degli uomini, il suo discorso diviene discussione
puntuale di tante cruciali categorie storiografiche, ora utilizzate come
utili strumenti classificatori ora elevate a miti, divenendo esse
stesse oggetto di storia, acquistando una “vita autonoma”, sicché spesso
la storia della filosofia – sottolinea Borghero – diventa storia non
legata a testi e ad autori, ma storia di tali categorie.
Di questa
pericolosa sostituzione – che tende a distruggere la storia
filologicamente costruita per porre al suo posto una costante lotta fra
mitici giganti – Borghero discute molti esempi: l’abusata definizione di
età classica, di razionalismo cartesiano, di spinozismo, di crisi della
coscienza europea, sino alla più recente scoperta di un illuminismo
“radicale” di contro a uno “conservatore”, in relazione al fortunato
volume di Margaret Candec Jacob, The Radical Enlightenment. Pantheists,
Freemasons and Republicans, pubblicato a Londra nel 1981 e tradotto in
italiano nel 1983.
Il tema dell’illuminismo radicale è stato di
moda per qualche decennio, diffondendo tra l’altro l’equivoco uso di un
aggettivo, radicale, per definire non una realtà istituzionale o
un’organizzazione politica ma un complesso disorganico di idee
variamente considerate come “lumi”. Borghero scrive sul tema
considerazioni che si possono considerare come epigrafe commemorativa,
pur sottolineando il valore che ha avuto per mettere in crisi altri
miti, come quello variamente dilatato della crisi della coscienza
europea e per valorizzare determinati ambiti culturali inglesi e
olandesi con sottolineati rapporti con la massoneria; ma anche limitando
fortemente la natura di quel radicalismo dato che nella proposta della
Jacob «l’illuminismo dei radicali assume, almeno in parte, i connotati
di una illuminazione sapienziale e segreta per pochi iniziati, piuttosto
che quelli delle Lumières che, almeno potenzialmente sono disponibili
per tutti, secondo la lezione baconiana e, almeno in questo caso
sicuramente, cartesiana». Senza dimenticare la forzatura dei testi, la
perdita della pluralità e della eterogeneità, in nome di una «mitologia
della coerenza», la scarsa valutazione delle nuove scienze la
«retroproiezione» di idee politiche del Novecento. Limiti che fanno
perdere notevole valore alla proposta della Jacob, forse persino
fuorviante.
Non è possibile seguire i molti altri sentieri lungo i
quali ci conduce Carlo Borghero: ma sarà necessario ricordare almeno le
precise considerazioni sul rapporto fra cultura cinquecentesca e
libertinismo, le indicazioni sulle varie forme di cartesianesimo e la
loro diversificata presenza nella cultura europea del Seicento e del
Settecento, l’originale riferimento all’opera di Fontenelle – in
particolare all’Origine des pables – alla nascita della moderna
antropologia, sino all’analisi delle diverse valutazioni
dell’Illuminismo nella storiografia (e ideologia) più recente.
Nel
complesso si tratta dunque di un fascinoso viaggio sulle vie della
modernità, senza schematismi o alberi genealogici ben ridefiniti, con il
senso della diversità che è compito dello storico far risaltare. Torna
qui a proposito quanto lo stesso Borghero scriveva a margine di un
convegno parigino del 2004 che «esprimeva nella felice espressione
scelta come titolo (Un secolo di duecento anni) il risultato delle
discussioni storiografiche sulla periodizzazione dell’età moderna: un
lungo periodo attraversato da una pluralità di correnti intellettuali
che si presentano, scompaiono, ritornano. Una successione di continuità e
discontinuità, nelle quali è difficile trovare le condizioni di una
narrazione unitaria. Ma non c’è da dubitare che una ragione
storiografica pigra continuerà a tenere in vita i suoi fantasmi». Contro
questi fantasmi e la ricorrente pigrizia può servire come ottimo
antidoto il presente volume.
Carlo Borghero, Interpretazioni, categorie, finzioni. Narrare la storia della filosofia, Le lettere, Firenze, pagg. 534, € 38