Il Sole Domenica 6.6.18
Nobel per la letteratura. La lotta di potere
C’è del marcio in Svezia
di Daniela Marcheschi
L’acqua
cheta rovina i ponti – dice un vecchio proverbio italiano. Visti i
tempi, bisogna subito postillare che funziona benissimo anche in Svezia,
dove le passioni si esprimono in genere senza sguaiataggine, senza
alzare mai troppo i toni, ma non sono meno vive e dirompenti. Ad
esempio, non si ricorderà mai abbastanza il gesto forte di Kerstin
Ekman, autorevole scrittrice e intellettuale svedese, le cui opere sono
tradotte anche in italiano: terza donna a diventare nel 1978 membro
dell’Accademia, nel 1989 se ne è sospesa, perché l’istituzione non
prendeva una posizione chiara nei confronti della fatwa (la condanna a
morte per bestemmia), lanciata dall’Ayatollah Khomeini contro lo
scrittore indiano-britannico Salman Rushdie.
Quello che, poi,
accade oggi nell’Accademia svedese, celebre per la consegna dei premi
Nobel, è la punta di un iceberg dalla base ampia e consolidatasi nel
tempo. Da parecchi anni si sapeva delle pessime voci che correvano sul
fotografo franco-svedese Jean-Claude Arnault, marito della non eccelsa
poetessa Katarina Frostenson. Quest’ultima è stata ammessa nel 1992
all’Accademia di Svezia, e non senza suscitare dubbi e sospetti di
favoritismo, per la sua giovane età (allora l’autrice aveva solamente
trentanove anni) e per l’appartenenza a una famiglia molto influente.
Discussi anche i rapporti con la Francia intrattenuti dalla coppia e
l’assegnazione di due premi alla nazione transalpina nel 2008 (Le
Clézio) e nel 2014 (Modiano).
Perfino la scrittrice Maja Lundgren,
nel suo romanzo Myggor och tigrar (Zanzare e tigri), pubblicato da
Bonnier – il maggiore editore svedese – nel 2007, aveva bollato in rima
il predatore Arnault come «Jean-Claude utan nåd», ossia «Jean-Claude
senza pietà». Tali voci erano giunte anche in Accademia e già nel 1997:
l’allora segretario Sture Allén era stato informato da una vittima di
Arnault, per lettera, di gravi molestie subite, ma aveva lasciato cadere
la cosa nel vuoto. Anzi, dal 2010 al novembre 2017 (quando lo scandalo è
scoppiato senza ma e senza se), al centro culturale Forum, diretto da
Arnault e dalla stessa Frostenson, l’Accademia ha elargito 126mila
corone svedesi ogni anno – in tutto più di ottantamila euro circa. La
Frostenson, accusata di non aver informato i suoi colleghi del conflitto
di interessi, si è autosospesa: ma possibile che a Stoccolma, dove
negli ambienti della cultura si sa tutto di tutti, gli unici a non
esserne al corrente fossero gli accademici che concedono i
finanziamenti? Da quel momento è cominciato un braccio di ferro interno,
che ha comportato le dimissioni o, meglio, le autosospensioni di altri
esponenti di rango, come lo storico Peter Englund o il poeta e studioso
Kjell Espmark. Un membro è eletto a vita nell’Accademia di Svezia, e la
“sedia” che egli occupa resta sua fino alla morte. Tutt’al più, se è
vivente, figura come membro “non attivo”, ma non può decadere.
Ininfluente per il momento l’intervento del Re, che ha da poco
introdotto la possibilità (senza valore retroattivo) di dare le
dimissioni entro i primi due-tre anni dalla nomina in Accademia. La
catena delle autosospensioni per protesta ha così portato i membri
attivi a dieci, numero che non permette le votazioni in vista della
scelta del premio Nobel per la Letteratura. Tuttavia, dato il
regolamento del premio, che impone ogni anno alla commissione ristretta
per la Letteratura (4 accademici) un duro lavoro durante ben tre fasi di
selezione – da un 48 autori od opere circa a 8-5, infine al vincitore
proclamato in ottobre –, ci sarebbero stati dei margini per chiarire
ulteriormente le questioni non letterarie e raggiungere un accordo di
massima sulla rosa dei candidati e sul possibile nome del vincitore.
Invece no, rapidamente si è arrivati alla decisione di non consegnare il
premio Nobel per la Letteratura nel 2018. Davvero era l’unica possibile
«per ripristinare la generale fiducia» verso l’istituzione, come si
legge nel comunicato stampa dell’Accademia di venerdì scorso?
A un
accademico è prima di tutto richiesto di lavorare per il proprio paese
con onestà e senso di giustizia, e ciò non è accaduto, se si è voltato
lo sguardo davanti alla barbarie delle violenze sessuali e all’uso
disinvolto del denaro pubblico. In Svezia, dove si è sensibili alla
moralità pubblica, non si hanno dubbi: lo studioso di letteratura Horace
Engdahl e il linguista Allén – non autosospesi – sarebbero gli
accademici responsabili di questo inaudito sfacelo, con la loro folle
cecità e «arroganza», come ha scritto l’autorevole quotidiano «Svenska
Dagbladet». Già, «arroganza». I due avrebbero ignorato i consigli dei
legali, oscurando così il buon nome dell’Accademia e della nazione. Lo
«Svenska Dagbladet» ha lamentato anche come la decisione di sospendere
il Nobel per la Letteratura serva in realtà a dirigere i riflettori più
sulla letteratura stessa che non sulle (così minimizzate) molestie
subite dalle donne, che accusano Arnault. Questi sembra aver importunato
perfino la principessa Victoria; e anche aver alimentato fughe di
notizie sui vincitori per loschi interessi. Il fatto è che il rinvio
della proclamazione del vincitore del Nobel per la Letteratura al 2019
indica soltanto che un gruppo, quel gruppo, di membri dell’Accademia di
Svezia, dove pure è prassi discutere con fervore, continua a tenerla
bloccata saldamente con il proprio potere e come centro di potere da
gestire. Ricordiamo che la commissione ristretta del premio Nobel per la
Letteratura controlla in Svezia anche la distribuzione delle numerose
borse per gli scrittori meritevoli che ne facciano richiesta, con
inevitabili ricadute sull’editoria e altre attività culturali ed
economiche di quel paese.