Il Sole Domenica 5.5.18
Søren Kierkegaard e Regine Olsen
In amore meglio soffrire
Perché
il filosofo abbia lasciato la sua nusa è un mistero. L'ipotesi più
probabile è che gli servisse un dolore da investire nella sua creatività
di Ermanno Bencivenga
Una
sera d’estate del 1996 Joakim Garff, autore di un’importante biografia
di Kierkegaard, dà una lezione in una cittadina di provincia. Al
ricevimento che segue gli viene presentata un’anziana coppia, lui in
giacca blu e cravatta a farfalla, lei con una chioma ben sistemata e
occhi vivaci. La signora risulta essere la nipote di Cornelia, sorella
di Regine Olsen, e rivolge a Garff un’offerta che lo lascia senza fiato.
Se vuole, può visionare un centinaio di lettere che Regine mandò a
Cornelia durante i cinque anni in cui visse nelle Isole Vergini, allora
parte dell’impero coloniale danese. Se vuole?, pensa Garff, che ha
appena ricevuto un dono per lui inestimabile.
Søren Kierkegaard
incontrò Regine Olsen nel maggio 1837, quando lui aveva 24 anni e lei
15. All’epoca non la notò, ma due anni dopo Regine era divenuta «signora
del suo cuore» e l’8 settembre 1840 le propose di sposarsi. Regine era
interessata al suo istitutore, Johan Frederik (Fritz) Schlegel, ma
Kierkegaard la scosse come un turbine e i due si prepararono per una
vita insieme. Finché, il 12 ottobre 1841, lui ruppe il fidanzamento,
nonostante le suppliche di lei e le proteste del padre. Il 28 agosto
1843 Regine si fidanzò con Fritz e il 3 novembre 1847 lo sposò. Gli
sarebbe rimasta fedele fino alla morte, che arrivò per lui nel 1896 e
per lei nel 1904.
Perché Søren abbia lasciato Regine è, a dispetto
delle infinite parole da lui dedicate all’episodio nei suoi diari e
(indirettamente) nei suoi scritti, un mistero. L’ipotesi più probabile è
anche la più squallida: che cioè nei pochi mesi di passione non
consumata avesse ottenuto da lei tutto quel che gli serviva, uno stimolo
alla sua creatività, e non volesse perderlo nella mediocre routine
quotidiana di un’esistenza borghese, in cui, dichiara preoccupato nei
Diari, «non avrebbe combinato niente». Meglio mantenerla come sprone
inesausto; meglio sublimare l’amore in migliaia di pagine intense e
profetiche; meglio sacrificare la vita (altrui) e investire
sull’eternità, come molti di quei borghesi che Kierkegaard disprezzava
investono i risparmi nel mercato azionario.
Regine vede spesso
Søren per strada ma non gli parla più; lui ne scrive ossessivamente.
Poi, nel 1855, Fritz viene nominato governatore delle Indie Occidentali
Danesi: le tre isole di St. Thomas, St. John e St. Croix (vendute agli
Stati Uniti nel 1917 per 25 milioni di dollari). I due sposi partono per
un viaggio che li allontana di oltre seimila chilometri da casa.
Kierkegaard muore quello stesso anno, non prima di aver inviato una
lettera a Fritz chiedendogli un colloquio (rifiutato) con sua moglie.
Regine comincia a scrivere a Cornelia, in una corrispondenza che durerà
fino al ritorno in patria nel 1860, e comincia il libro di Garff.
Quel
che colpisce, in questo libro che per una volta racconta, dal suo punto
di vista, la storia di una donna ingannata e abbandonata da uno dei
tanti geni più o meno incompresi, è l’ammirevole equilibrio di questa
donna: la sua correttezza. Regine non dimentica mai il suo Søren ma ne
parla solo in modo obliquo, senza farne il nome. Alla tristezza che è
irreparabilmente calata sulla sua vita attribuisce ragioni diverse: la
lontananza della sorella, le difficoltà di adattamento al nuovo clima,
le incombenze di società legate al suo ruolo istituzionale.
Per il
marito manifesta un quieto affetto e una cura premurosa (figli non ne
vengono) e anche lui mantiene la sua dignità, pur sapendo di essere
destinato al ruolo di riserva del campione assente.La situazione emotiva
degli Schlegel viene complicata dal fatto che Kierkegaard, nel suo
testamento, lascia tutto a Regine; in particolare, i suoi scritti
inediti. Fritz scrive a nome di entrambi i coniugi che la moglie
accetterà alcune lettere e piccoli gioielli, respingendo al mittente il
resto. Regine rientra così in possesso del suo scambio epistolare con
Søren, di cui conserva la parte di lui (la sua la distrugge). Quindi gli
Schlegel convissero per decenni con la consapevolezza di queste missive
estremamente private, cui si aggiunse, a partire dal 1872, la
pubblicazione dei Diari, con Regine indiscussa protagonista.
Non
venne meno la dignità; non venne meno il riserbo; Regine accettò di
parlare (con discrezione) di Kierkegaard solo dopo la morte del marito.
In Timore e tremore, leggiamo di un cavaliere dell’infinito, presuntuoso
e irritante, tutto compreso nella sua straordinarietà, e di un
cavaliere della fede, pacato e sereno, simile all’apparenza a un
qualsiasi postino o bottegaio. Leggendo il libro di Garff non si può
fare a meno di pensare a Kierkegaard come al vanesio cavaliere
dell’infinito e a Regine come al solido, imperturbabile, insondabile
cavaliere della fede.
Joakim Garff,Kierkegaard’s Muse: The Mystery of Regine Olsen , Princeton University Press, Princeton, pagg. XVII+313, $32,95