Il Sole Domenica 6.5.18
Neuroetica
Analizzare e ricostruire l’io
di Adina Roskies
Gli
ultimi decenni hanno visto lo sviluppo di molti nuovi modi di
intervenire sul cervello. Di recente, scienziati e medici hanno
cominciato a modulare direttamente le funzioni cerebrali grazie a
stimolazioni elettriche focali. Alcuni nuovi strumenti si mostrano
promettenti per il trattamento di malattie farmaco-resistenti. Tecniche
come la stimolazione cerebrale profonda (DBS), con cui elettrodi
impiantati forniscono una stimolazione elettrica a zone-bersaglio nelle
zone profonde del cervello, stanno dando buoni risultati nell’alleviare i
sintomi di alcune malattie invalidanti e altrimenti intrattabili, quali
il Parkinson o il disturbo ossessivo compulsivo. Come per qualsiasi
intervento clinico, le potenzialità della DBS devono essere valutate in
base ai rischi e ai costi. Una delle preoccupazione è che le
neurotecnologie abbiano un impatto su ciò che possiamo chiamare
intuitivamente la nostra agency, o agentività.
Filosofi e
scienziati usano spesso il concetto di agentività senza darne una chiara
definizione esplicita. I filosofi a volte pensano all’agentività come a
qualcosa che un individuo ha o di cui è privo, cioè come un termine
binario. Altri studiosi lo considerano una quantità scalare, qualcosa di
cui un individuo può essere più o meno provvisto. Io suggerisco che
l’agentività sia meglio concettualizzata nei termini di una
costellazione di capacità che la piena agency presuppone. Questa visione
«capacitaria» dell’agentività è ben coerente con le opinioni
predominanti sul libero arbitrio e sulla responsabilità morale e
giuridica. In breve, l’idea è che un agente per essere tale deve
possedere un insieme di capacità identiche o strettamente correlate alle
capacità che rendono possibile l’azione volontaria, l’autocontrollo e
la responsabilità morale. L’agentività è quindi sfaccettata; pensarla
come una pura grandezza scalare implica una semplificazione che minaccia
di ostacolare i nostri migliori sforzi per stabilire quali scelte
adottare in situazioni dilemmatiche e per comprendere in modo più ampio
le basi teoriche delle nostre deliberazioni.
Propongo pertanto di
rappresentare l’agentività in uno spazio multidimensionale di cui
dobbiamo ancora determinare gli assi. Con l’avvento di metodi per la
raccolta e l’analisi dei big data, come valutazioni online e metodi di
apprendimento automatico, potremmo avere anche un nuovo modo di
integrare e testare le nostre teorie filosofiche. Un modo, che stiamo
perseguendo, consiste nel presentare una lista dettagliata dei possibili
aspetti dell’agentività a partire sia dall’intuizione sia
dall’osservazione clinica. Ad esempio, i primi candidati quali
dimensioni iniziali sono il controllo motorio, l’inibizione degli
impulsi, l’attenzione, l’identificazione di sé, e così via.
Presentando
domande che analizzano queste diverse dimensioni, possiamo stabilire
dove si collocano in questo spazio virtuale le persone sane e le persone
con disturbi clinici. Potremmo anche provare a imporre una metrica su
quegli assi che tenga conto della variazione su una molteplicità di
dimensioni. Se possiamo descrivere un tale spazio e una metrica
relativa, potremmo identificare singoli punti che descrivono
l’estensione delle capacità agentive di un individuo, ovvero un modo per
visualizzare la sua agency. Una prova di questo test è valutare se le
persone con diverse condizioni cliniche deviano in modi prevedibili
rispetto alla popolazione generale.
Una volta messo a punto uno
strumento di valutazione, possiamo usarlo per vedere come cambia il
profilo dell’agente quando viene sottoposto a interventi di
neurostimolazione. Se, per esempio, il trattamento con DBS è efficace,
una persona che riceve la cura su alcune dimensioni avrà valori di
agentività superiori ai valori di malati non trattati. Tuttavia, gli
effetti collaterali indesiderati (almeno quelli che influiscono
sull’agentività) possono spesso provocare una riduzione di valori su
altri assi. Confrontare i profili delle persone mentre sono sotto
l’effetto della DBS e quando non lo sono fornirebbe un modo oggettivo di
valutare non solo il successo dell’intervento terapeutico, ma anche
l’impatto degli effetti collaterali.
Sebbene questo tipo di
strumento possa essere utile nella pratica clinica per valutare le
decisioni circa il trattamento, un’avvertenza rilevante è che le
misurazioni oggettive delle proprietà legate all’agency quasi certamente
non coincideranno con le dimensioni valutative che dovrebbero governare
le decisioni di trattamento. Gran parte della letteratura biomedica
sull’autonomia e sull’autenticità richiama infatti l’attenzione sui
differenti valori che le persone possono coltivare e sull’importanza
della propria auto-comprensione in tema di salute mentale. Una volta
delineato uno spazio di agentività, è probabile che si scopra che alcune
persone considerano certe dimensioni più importanti di altre. Si pensi
al paziente olandese descritto da Albert Leentjens, il quale ha dovuto
decidere se vivere il resto dei suoi giorni costretto a letto in una
casa di cura a causa della sua impossibilità acquisita di movimento o
invece scegliere il ricovero volontario in un’istituzione psichiatrica a
causa della mania ingestibile provocata dalla DBS, che nello stesso
tempo ha alleviato i suoi problemi motori.
Sfortunatamente, malati
e comunità medica dovranno affrontare questo tipo di dilemmi. Il
paziente olandese ha valutato la sua autonomia corporea e le sue
capacità fisiche legate all’agency come superiori alle capacità
razionali e alla libertà (teorica), ma si può facilmente immaginare un
altro paziente nella stessa situazione che compie la scelta opposta.
Un
elemento del rispetto dell’autonomia dei pazienti concerne la
possibilità di mantenere la propria posizione sulle dimensioni che
devono avere la prevalenza, o almeno siano particolarmente
significative. Pertanto, la metrica oggettiva dell’agentività discussa
finora deve essere ponderata in base ai valori, agli impegni e ai
desideri del paziente, con lo scopo di contribuire a scegliere una linea
d’azione. Questo è un altro spazio multidimensionale, il quale
costituisce un riformulazione del primo e riflette non solo le proprietà
oggettive dell’agency di individuo sotto un trattamento, ma anche
quelle proprietà che sono apprezzate dall’agente.
(traduzione di Silvia Inglese)
Adina
Roskies, una delle massime autorità mondiali nel campo della neuroetica
e del neurodiritto, riceverà la medaglia della Società Italiana di
Neuroetica e terrà la sua lectio magistralis il prossimo 17 maggio
nell’ambito del convegno internazionale «Neuroethics: Re-Mapping the
Field», in programma dal 16 al 18 presso l’Università
Vita&Salute San Raffaele di Milano (www.societadineuroetica.it)