Il Sole Domenica 6.5.17
Giuseppe Vacca
La parabola tracciata da Pci e Dc
Lo storico e politico esamina l’epoca di Togliatti e De Gasperi e quella di Berlinguer e Moro, analizzando rapporti e intrecci
di Mario Ricciardi
Dopo
le ultime elezioni il sistema politico italiano sembra avviato a una
nuova transizione di cui allo stato attuale è difficile prevedere
l’esito. In circostanze del genere si avverte spesso il bisogno di uno
sguardo retrospettivo, che ci aiuti a dare un senso agli eventi cui ci
troviamo ad assistere risalendo alle loro cause remote. Leggendo le
prime pagine del nuovo libro di Giuseppe Vacca si potrebbe pensare che
proprio di questo tipo di indagine si tratti. Vacca, infatti, scrive:
«ho vissuto con disagio gli ultimi conati dei discendenti del Pci di
agitare il mito di Berlinguer come ultima risorsa identitaria e con
rammarico il precipitare di una lotta senza principi contro la nuova
leadership di Renzi, impegnata a rimettere l’Italia in asse con
l’Europa». In realtà questo è l’unico riferimento esplicito
all’attualità di un libro che ripercorre le complesse vicende dei
rapporti tra comunisti e democristiani a partire dal 1943, quando, con
la caduta del Fascismo, i partiti politici escono dalla clandestinità e
cominciano a porre le basi su cui fonderanno la repubblica. La
narrazione si conclude nel 1978, l’anno del rapimento e poi
dell’uccisione di Aldo Moro.
A fare da protagonisti delle vicende
del libro non sono quindi Renzi e i suoi avversari odierni, ma alcune
tra le principali figure della storia politica del Novecento italiano:
Togliatti, De Gasperi, Berlinguer e Moro. La “svolta di Salerno”, il
referendum istituzionale, la Costituente, e gli anni della Guerra fredda
fanno da sfondo alla storia di due partiti che, nella narrazione di
Vacca, sono destinati, nonostante ostacoli e incomprensioni, a
incontrarsi. La chiave di lettura è quella della peculiare
interpretazione del comunismo elaborata da Togliatti. Che lo porterà,
dall’impegno a fianco dell’Unione Sovietica, e del suo leader Stalin,
negli anni della lotta antifascista, fino alla critica dello stalinismo e
al tentativo di disegnare una «via italiana al socialismo» che mettesse
da parte la rivoluzione in favore di un ampliamento graduale del
consenso con l’obiettivo finale di edificare una nuova società
attraverso il metodo democratico. Nel ricostruire questi eventi, e il
complesso rapporto tra Togliatti e De Gasperi, l’autore assume
soprattutto il punto di vista del primo. Questo non è sorprendente.
Vacca viene dalle fila del Pci, ed è un fine conoscitore della storia e
del pensiero del leader comunista. C’è tuttavia un prezzo da pagare per
questa scelta. A essere messo a fuoco è soprattutto il punto di vista di
Togliatti, mentre quello di De Gasperi emerge piuttosto per contrasto.
Le cose cambiano quando sulla scena arrivano Berlinguer e Moro. In
questa seconda fase della storia dei rapporti tra «i due grandi partiti
popolari» Vacca, che a questo punto è un testimone e non più
semplicemente uno storico, assume una prospettiva meno parziale, che
mette davvero in risalto gli sforzi genuini di comprendersi e di trovare
una qualche forma di collaborazione dei due.
La storia si
conclude però con una tragedia, l’uccisione di Moro, che impedisce a
Berlinguer di completare il lungo percorso verso il riformismo
intrapreso da Togliatti. Tra le pagine più interessanti del libro ci
sono, a mio avviso, proprio quelle in cui si ricostruiscono il contesto
internazionale e i vincoli di carattere economico che impediranno alla
prospettiva del Compromesso Storico di acquistare un senso politico
compiuto. Dopo la morte di Moro, e la rapida liquidazione dell’ipotesi
di «equilibri più avanzati» per la democrazia del nostro Paese, il Pci
sembra non essere più in grado di decifrare i segni della spinta verso
la modernità che, nel giro di qualche anno, avrebbe cambiato
radicalmente l’intera Europa portando con sé il comunismo stesso.
La
ricostruzione di Vacca ha talvolta il difetto di essere esclusivamente
descrittiva. Nelle numerose pagine dedicate all’evoluzione delle
posizioni di Togliatti, ad esempio, si mette raramente in questione la
coerenza di fondo di passaggi che potrebbero essere letti come del tutto
strumentali, tentativi di trovare un compromesso accessibile tra
l’imperativo dell’obbedienza al dogma di Mosca e l’esigenza del Partito
di sopravvivere a un ambiente nuovo, e per molti versi poco familiare,
come quello di una nascente democrazia parlamentare. Questo difetto di
critica si avverte anche quando affiora il tema della “nazione”. Se da
un lato si comprende perfettamente il senso politico che per il
Togliatti della seconda metà degli anni Quaranta ha il recupero del
discorso risorgimentale, dell’emancipazione nazionale, e dell’incontro
tra le istanze di libertà del popolo e quelle della nazione, meno
evidente è la coerenza teorica di questa strategia politica. In che
senso sia possibile preservare una critica materialista dell’economia
politica come quella propugnata da Marx con il recupero – via Croce e
Gramsci – della tradizione di pensiero italiano che risale a
Machiavelli.
Un altro aspetto del libro di Vacca che offre il
fianco alla critica è la quasi assenza dei socialisti, e in particolare
del Psi di Craxi dalla ricostruzione. Un difetto significativo perché
sarà proprio la rivalità tra il leader socialista, che abbraccia la
modernizzazione, e Berlinguer, che invece la osserva con diffidenza, a
plasmare gli anni che seguono la morte di Moro. A costo di semplificare
brutalmente, si potrebbe dire che alla fine l’incontro tra comunisti e
democristiani c’è stato, ma esso non è avvenuto sulla vaga piattaforma
di un “compromesso storico” che sfugge agli sforzi di definizione, ma
sulla lettura della modernizzazione economica e sociale del Paese che
Craxi, dall’osservatorio privilegiato di Milano, aveva riconosciuto. Per
questo appaiono riduttive e poco convincenti le critiche che Vacca
rivolge alla redistribuzione della ricchezza come obiettivo dei
riformisti e all’impegno radicale e socialista in difesa dei diritti
civili. Per tornare all’attualità, è sempre sul nodo irrisolto di chi
abbia davvero vinto il “duello a sinistra” sul piano dei principi
normativi e delle politiche che li attuano che fa perno l’opposizione a
Renzi cui allude Vacca.
Queste critiche non cancellano, comunque,
il valore di un libro pieno di spunti e di informazioni interessanti. Un
contributo importante per chi voglia comprendere le vicende della
sinistra italiana negli ultimi settanta anni.
Giuseppe Vacca,
L’Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra
(1943-1978) , Marsilio, Venezia, pagg. 320, € 18
In libreria dal 10 maggio