Il Sole Domenica 6.5.18
Liberalismo, vittoria di Pirro
Oramai non passa settimana in cui non esca un libro sulla crisi di liberalismo e democrazia
di Sebastiano Maffettone
Oramai
non passa settimana in cui non esca un libro sulla crisi di liberalismo
e democrazia. In questa serie -che di certo raccoglie umori e emozioni
del presente- si inserisce a pieno titolo Why Liberalism Failed.
L’autore del libro in questione, Patrik J. Deneen, è professore di
Political Science a Notre Dame University negli Stati Uniti. Scrive però
con estrema chiarezza tralasciando il gergo accademico. La tesi
principale del libro di Deneen è che il liberalismo ha fallito - come
del resto recita il titolo del volume- anche se ha vinto. La sua
realizzazione non è equivalsa alla «fine della storia» (Fukuyama) e a
un’utopia realizzata.
È vero infatti che delle tre grandi
ideologie del secolo passato solo il liberalismo è ancora vivo, mentre
fascismo e comunismo non lo sono più. Ma sempre di più , secondo
l’autore, che qui fa un po’ il verso a Marx, scopriamo per l’appunto che
è una «ideologia», anche se lo è in maniera più nascosta delle rivali, e
per conseguenza ne siamo delusi.
Ma, e qui sta il picco
provocatorio della tesi, la nostra delusione non dipenderebbe tanto da
un tradimento degli ideali fondazionali da parte del liberalismo quanto
dal fatto che si sono realizzati. Fin troppo, si è tentati di dire
leggendo Deneem. Il liberalismo ci ha promesso piena autonomia degli
individui, e abbiamo avuto come esito una «folla solitaria» di uomini e
donne indipendenti che sempre più somigliano a hikikomori (quelli che
parlano solo con il computer). Ci aveva garantito mercato e
meritocrazia, e come risultato cittadini potenzialmente virtuosi si
stanno trasformando in consumatori arrabbiati. Ci ha assicurato che
scienza e tecnologia, come voleva Francis Bacon, avrebbero guidato con
sapienza le nostre esistenze, e della tecnologia sempre più patiamo la
pervasività e il controllo. Tutto ciò si mostrerebbe in maniera non
equivoca nella progressiva distruzione di ogni cultura in nome dei
diritti del singolo, nella tirannia dell’alternanza tra stato e mercato,
nel tramonto della cultura umanistica sempre più relegata nel
retrobottega dello spirito e sostituita dalla tecnica e dal desiderio di
successo economico, nella sostanziale perdita della comunità coesa.
Come
a dire che si il liberalismo ha vinto, ma la sua è stata una vittoria
di Pirro. Questo dipenderebbe anche dal fatto che, dal punto di vista
filosofico, il liberalismo ha cancellato la dimensione del tempo in nome
del presentismo e quella dello spazio in nome dell’universalismo.
Deneen concede, bontà sua, che qualcosa di buono nel liberalismo c’è
stata -come una certa efficienza e la fine dell’autoritarismo- e che il
1900 ha mostrato sulla scena del mondo rimedi quali il comunismo e il
fascismo peggiori del male. Per cui, a suo avviso, bisogna sbaraccare il
liberalismo ma solo in parte. Fin qui la pars destruens del libro, che è
provocatoria come detto anche se non del tutto originale in quanto
sostanzialmente non fa che riprendere vecchie tesi conservatrici e
reazionarie per tradurle in un linguaggio coerente con i nostri tempi.
Cosa che, ammettiamolo, potrebbe essere utile. I guai vengono, come
spesso capita con i libri vagamenti apocalittici, quando si passa alla
pars construens.
L’autore tiene a precisare, nella Prefazione, che
il libro è stato scritto prima di Brexit e Trump, si suppone perché
così si vede che aveva visto giusto sulla crisi del liberalismo. Ma
questo non ci esime dal chiedere: ammesso e non concesso che il
liberalismo non funzioni, che cosa mettiamo al suo posto (Brexit e Trump
non sono incoraggianti da questo punto di vista)? Deneen propone tre
ipotesi futurologiche. Le prime due le conosciamo già, Dato che
consistono nel preservare parte del liberalismo e nell’abbandonare
l’ideologia che gli sta sotto. La terza e più impegnativa ipotesi
propone l’avvento di un nuovo paradigma teorico.
Confesso che,
avendo letto diverse volte l’ultimo paragrafo del libro che di questo
nuovo paradigma discute, non sono riuscito a capire di che cosa si
tratti. Forse, posso cercare di indovinare, di un misto di household
economics e comunitarismo religioso. Non molto, in verità, e per giunta
non nuovo. Per cui, si può concludere che questo libro, per certi versi
agile e intelligente, si aggiunge alla lista di quelli che all’inizio
gridano ad alta voce per attirare lettori per poi alla fine lasciarli
senza troppe speranze per il futuro.
Patrik J. Deneen, Why Liberalism Failed , Yale University Press, New Haven, pagg. 225,$30