Il Sole 24.5.18
La dialettica nella Ue
L’Unione si cambia dall’interno
di Adriana Cerretelli
In
tutte le famiglie, anche le migliori, arriva un momento in cui la
convivenza per alcuni dei suoi componenti diventa insopportabile,
l’ansia di rottura irresistibile: miraggio della liberazione,
scorciatoia-miracolo per risolvere tutti i guai.
Per il 55% degli
italiani che nel tempo si sono convertiti all'euroscetticismo, che hanno
votato i partiti che lo propugnano scommettendo su un Governo che ne
esprima le rivendicazioni in casa e fuori, la famiglia europea è
all'origine di ogni male e difficoltà del paese: uscirne o comunque
imporle un nuovo ordine sarebbe dunque la sola risposta possibile per
spezzarne le catene. Davvero?
Come in tutti i ménages in crisi, le
colpe vanno divise a metà. Certo, l’Europa arcigna dell’ultimo decennio
che impone la sua camicia di forza sui conti pubblici ma dimentica
quasi ogni tipo di solidarietà, politica, socio-economica, finanziaria,
migratoria, deve solo ringraziare sé stessa per essersi allevata in seno
populismi e nazionalismi che ora ne erodono le fondamenta. Da qui al
ripudio però ce ne corre: nel mondo di oggi, che è globale, è un lusso
proibito, una sorta di suicidio solitario per chi lo cavalcasse.
«L’Italia
vince e avanza con l’Europa e dentro l’Europa. Da soli possiamo fare
poco di fronte a giganti politici, economici e industriali come Stati
Uniti e Cina» ha avvertito ieri Vincenzo Boccia. Invitando a
«distinguere la questione italiana, ciò che dipende da noi, da quella
europea e senza usare quest’ultima come alibi per non affrontare la
prima». Proprio qui sta il punto: le riforme vanno fatte, il debito
pubblico ridotto non per fare un favore all’Europa ma perché, ricorda il
presidente di Confindustria, ammonta a 2.300 miliardi e pagarne gli
interessi ce ne costa 63 all'anno, che saliranno di altri 20 per ogni
punto di interesse in più quando verrà meno la politica monetaria
espansiva della Bce. Questo non significa che l’Europa non vada cambiata
ma «il cambiamento va fatto dall’interno e senza distruggerla». Facendo
sentire voce e peso del paese per difenderne gli interessi nazionali.
Con metodo e senza distrazioni. In gioco c’è stabilità e dinamismo del
sistema bancario italiano, che va alleggerito della zavorra dei crediti
deteriorati senza però venir soffocato da regole contabili e requisiti
di capitale-capestro a tutto danno del credito alle imprese e della
spinta allo sviluppo.
C’è una politica industriale europea che
continua a mancare all’appello ma è vitale per dare all’Unione gli
stessi strumenti funzionali al recupero di competitività utilizzati da
Stati Uniti e Cina. C’è il bilancio europeo 2021-27, oltre 1.100
miliardi in 7 anni, un’occasione da non perdere per finanziare
infrastrutture, ricerca, sviluppo e innovazione. E coesione sociale del
paese. Risorse preziose quando quelle italiane sono poche ma molti i
vincoli anti-deficit sul bilancio nazionale.
Certo il patto di
stabilità europeo, l’impegno al pareggio di bilancio blindato nella
Costituzione, come quello alla riduzione del debito possono essere
percepiti come gabbie troppo strette e quindi inaccettabili. Però li
abbiamo sottoscritti come paese e sono validi indipendentemente dai
Governi di turno. Più che stracciarli o tentare di rifarli raccogliendo
l’improbabile unanimità necessaria, meglio rinegoziarli senza spallate
ma con lucido pragmatismo, sfruttandone i margini di flessibilità e
approfittando dell’attuale ripresa economica.
Proprio ieri
Bruxelles ha distribuito le pagelle dei 19 paesi dell’eurozona: tutti in
crescita più o meno forte, tutti con un deficit inferiore al 3%,
Francia compresa e con la sola eccezione della Spagna che dovrebbe
arrivarci quest’anno. Tutti con debito in discesa.
Nessun altolà
immediato all’Italia ma i soliti richiami all’urgenza delle riforme
strutturali, giustizia e lotta alla corruzione, più concorrenza nei
servizi, politiche attive del lavoro.Taglio del debito e degli Npl,
salvaguardia della riforma delle pensioni salvo interventi sulle più
alte non sostenute da contributi, meno tasse sul lavoro. Nel 2019
aggiustamento strutturale dello 0,6% per il bilancio. Silenzio a parole
(non sulla carta) sullo 0,3 atteso quest’anno.
Constatati i danni
prodotti, da almeno tre anni l’Europa ha abbandonato i furori rigoristi
per farsi più flessibile e pragmatica. E assomigliare un po’ di più alla
“casa comune” che dovrebbe essere, evocata ieri da Boccia. Malgrado
abbia molte lacune da colmare e cose da cambiare. Provarci si può però
senza esporre l’Italia al rischio instabilità sui mercati e ai
devastanti costi che ne deriverebbero per i suoi cittadini.