Il Sole 22.5.18
Fi verso il no, con il Pd un’opposizione per due
Contro il governo. Salvini «corteggia» Meloni e i suoi 18 senatori ma per ora la porta di Fd’I resta chiusa
I democratici rivendicano la guida del Copasir con Lorenzo Guerini
di Emilia Patta
Roma
Opposizione dura, rigorosa, sui temi. E non è solo il Pd che parla. È
da Forza Italia che sono venute ieri le maggiori perplessità verso il
nascente governo giallo-verde. «Confermiamo la nostra forte
preoccupazione per un programma che presenta aspetti cruciali non
condivisibili, non rispondenti alle esigenze del Paese, lontani dalle
nostre idee e dalle nostre profonde convinzioni», dice la capogruppo al
Senato Annamaria Bernini. Che, assieme ad altri colleghi azzurri, punta
il dito anche contro la possibile nomina di Giuseppe Conte a presidente
del Consiglio: «Qualora il Capo dello Stato lo nominasse saremmo di
fronte a un rispettabile tecnico esecutore di un programma scritto da
altri. Luigi Di Maio e Matteo Salvini di fatto deludono le aspettative
sulla necessità di un premier politico a tutto tondo». E in serata,
commentando la convocazione al Quirinale dei presidenti delle Camere e
non del premier indicato da M5s e Lega, Bernini rimarcava a questo
proposito che «il Quirinale vuole far intendere che non è la buca delle
lettere».
Il partito di Silvio Berlusconi si avvia dunque a votare
no alla fiducia, riservandosi semmai la valutazione dei singoli
provvedimenti qualora siano in linea con il programma presentato alle
elezioni dal centrodestra unito. Un no rafforzato dal fatto che non sarà
l’(ex?)alleato Matteo Salvini a guidare il governo bensì un premier di
area pentastellata. Più ancora delle critiche al governo giallo-verde
che piovono dal Ppe («state giocando con il fuoco perché l’Italia è un
Paese fortemente indebitato», ha detto ieri il leader dei popolari
europei Manfred Weber), a preoccupare fortemente il Cavaliere è proprio
la tenuta della coalizione con la Lega, che con Fi ha eletto candidati
comuni nei collegi e governa in importanti regioni e comuni. E in questo
senso ad Arcore si vive come un pericolo il “corteggiamento” di Salvini
nei confronti della leader di Fd’I Giorgia Meloni, incontrata anche
ieri per capire quale potrà essere l’atteggiamento dei piccoli alleati
nei confronti del governo («si punta a spaccare il centrodestra», è
stato lo sfogo del Cavaliere con i suoi): in Senato M5S e Lega arrivano
insieme a 167 sì (anche se fonti leghiste parlano di nuovi ingressi dal
gruppo misto fino a 173) laddove la maggioranza necessaria è come noto
di 161, e considerando che alcuni senatori finiranno per far parte del
governo i margini sono risicatissimi e i 18 senatori di Fd’I fanno per
così dire gola. Ma Meloni non sembra abbia lasciato spiragli al leader
della Lega: oggi saranno riuniti i gruppi parlamentari ma l’orientamento
è votare no alla fiducia come Fi. «La strategia di Salvini ha
indebolito fortemente il centrodestra non facendo valere le posizioni e i
programmi della coalizione», è la posizione di Meloni.
Con il no
alla fiducia Fi si mette di fatto all’opposizione del nuovo governo, in
una sorta di inedita competition con il Pd. Competition sugli argomenti
(non a caso ieri anche i democratici puntavano il dito, con il
segretario reggente Maurizio Martina e con il capogruppo al Senato
Andrea Marcucci, contro l’ipotesi di Conte premier «degradato al ruolo
di portavoce»), ma anche sulle poltrone. Alle opposizioni spettano
infatti di prassi, oltre alle vicepresidenze delle commissioni
permanenti, anche le presidente delle commissioni di garanzia. A
cominciare dalla Vigilanza Rai e dal Copasir. Per la commissione sui
servizi il Pd ha in Lorenzo Guerini il suo candidato, e non intende
mollare: con l’ipotesi del leghista Giancarlo Giorgetti sottosegretario
alla presidenza con delega ai servizi- è il ragionamento che si fa in
casa dem - non esiste che il Copasir vada a un partito della stessa
coalizione della Lega. Ad ogni modo, per la prima volta insieme
all’opposizione, Fi e Pd si troveranno sulla stessa parte della
barricata in molte occasioni. E molti osservatori, sia tra gli azzurri
che tra i democratici, registrano che l’opposizione parlamentare
potrebbe essere il campo in cui forgiare possibili convergenze future
nel caso in cui l’asse tra M5s e Lega si stabilizzi facendo saltare il
centrodestra. Intanto, deve partire il governo.