Il Sole 18.5.18
I rapporti con il Dragone. Per attrarre i
traffici necessari investimenti sulla rete portuale, ma cautela verso
eccessive aperture
Strategia paziente verso la Via della Seta
di Pino Musolino
Nel
prossimo futuro l’Italia è chiamata a tenere in considerazione almeno
due fattori per garantire crescita e sviluppo del comparto
marittimo-portuale e dell’intero sistema Paese.
Il primo è
l’implementazione della strategia della Via della Seta, un progetto
ambizioso che, stando alle parole del presidente cinese Xi Jinping, è
volto a costruire una «comunità dal destino condiviso». Concetti alti
che nell’immediato rispondono più alle ambizioni del colosso asiatico
che agli interessi italiani ed europei. La Cina infatti immagina la
strategia della Via della Seta come risposta a esigenze interne: dare
sfogo a una sovra-produzione industriale, controllare le linee di
approvvigionamento (soprattutto energetico) influenzando le politiche
dei suoi competitor e dare corpo a una proiezione geopolitica su scala
planetaria.
Il secondo fattore riguarda la ridefinizione della
politica europea relativa alle reti di trasporto Transeuropee TEN-T che
scivola, nella sua declinazione più operativa - il programma Connecting
Europe Facility -, verso una definizione più politica che tecnica, volta
a privilegiare i sistemi portuali-logistici del Northern Range.
È
indubbio che Rotterdam, Anversa e Amburgo sono incomparabili con i
porti italiani per numeri assoluti e per dimensioni delle infrastrutture
ma, proprio per favorire un riequilibrio logistico continentale imposto
dalla “migrazione” del baricentro commerciale Europa-mondo dall’Oceano
Atlantico all’Oceano Indiano, sarebbe necessario accelerare sugli
investimenti portuali in Italia, anziché rafforzare ulteriormente le
catene portuali e logistiche nord europee. Non si spiega quindi, se non
assumendo miopi posizioni di rendita, perché nel periodo 2014-2020, il
73% dei fondi europei del programma Cef è stato assegnato al settore
ferroviario: si tratta di 15,7 miliardi di euro, contro 0,9 miliardi
assegnati al settore marittimo, una sproporzione imbarazzante.
Quali
decisioni dovrebbe prendere l’Italia rispetto alla strategia della Via
della Seta e all’implementazione “sbilanciata” della politica europea
dei trasporti?
Per quanto riguarda il colosso asiatico, la prima
decisione - sbagliata - può essere quella di spalancare sic et
simpliciter le porte agli investimenti cinesi, con il rischio di fare la
fine della Grecia, dove i porti strategici sono ormai completamente
assoggettati al controllo cinese. La seconda invece è quella di
interloquire pazientemente con la Cina, facendo pesare la qualità
produttiva e manifatturiera europea (italiana in primis), le
potenzialità di innovazione logistica basata anche sulla
digitalizzazione, l’accrescimento del know-how tecnologico nel settore
dei trasporti. E tutto questo non per ottenere finanziamenti ma accordi
di natura commerciale; non per elemosinare facili accessi a strumenti
finanziari ma per sviluppare e ottimizzare le nostre catene logistiche;
non per chiudere i mercati ma per aprirli a condizioni di reciprocità.
Quanto
alla necessità di assestare rapidamente le decisioni assunte in materia
di reti transeuropee di trasporto, è necessario agire immediatamente
sugli strumenti di finanziamento della portualità europea, in primis
sulla ripartizione dei fondi definiti nel programma Central Europe
Facility, nonostante sia palese al momento come il cluster marittimo
portuale nazionale non riesca a incidere sulle decisioni di Bruxelles.
Per
uscire dall’impasse della scarsa rappresentanza, i porti dell’Alto
Adriatico hanno dato vita all’associazione Napa, che conta fra i propri
membri i porti di Ravenna, Venezia, Trieste, Koper (Capodistria) e
Rijeka (Fiume). Un soggetto che, al netto delle difficoltà iniziali, si
può considerare oggi uno strumento efficace per raggiungere obiettivi
comuni di sviluppo portuale, incentrando la propria strategia sulla
coopetition: collaborare, in Europa e nel mondo, per raggiungere
risultati comuni e competere localmente per attrarre i traffici.
Una
strategia che, in termini di finanziamenti europei, sta già pagando,
visto che nel solo 2017 il Porto di Venezia ha ottenuto da Bruxelles
oltre 21 milioni di euro tra grants e finanziamenti e che, ne sono
certo, potrà dare risposte positive anche sull’impatto sui traffici
generato dalla Bri e sul ribilanciamento della rete di trasporto della
Ue per rafforzare i Paesi del Sud e i loro porti. Una strategia che, mai
come ora, ha bisogno del sostegno e dell’attenzione nazionale per poter
produrre il miglior risultato possibile, un risultato che condizionerà
lo sviluppo del Paese per i prossimi decenni.
Presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico settentrionale