sabato 12 maggio 2018

Il Sole 12.5.18
La frontiera dove l’Unione si specchia nelle sue paure
In un anno i migranti clandestini sono scesi dell’80%
di Beda Romano


LESOVO (ALLA FRONTIERA TURCO-BULGARA) Il muro, perché di muro si tratta benché la polizia bulgara parli di barriera, si staglia all’orizzonte chilometri prima di giungere alla frontiera con la Turchia. Attraversa i campi, scavalca le colline, taglia le foreste per un totale di oltre 200 chilometri. Sulla strada per Istanbul, Lesovo è un paesino di qualche decina di anime in una campagna verdeggiante, ma poco coltivata. È l’ultima località bulgara prima del confine ritenuto il più controllato, il più ermetico d’Europa. Per alcuni, il muro è lo strumento sofisticato di una Unione che si vuole proteggere. Per altri, il simbolo controverso di una Unione che si chiude su se stessa.
Tra il 2015 e il 2016, la regione fu attraversata a piedi da migliaia di profughi provenienti dalla Siria e dall’Iraq alla ricerca di una vita sicura nel Nord Europa. Chi scrive ha dovuto avvertire preventivamente le autorità bulgare della sua visita nell’estremità sud-orientale dell’Unione europea. È accolto con garbo e premura dalle guardie di frontiera a Elhovo, una cittadina di 10mila abitanti a 30 chilometri da Lesovo. «Non abbiamo nulla da nascondere sulla gestione e sulla sicurezza del confine», premette Deyan Mollov. Il trentenne responsabile di una delle frontiere esterne dell’Unione più delicate si riferisce probabilmente alle presunte vicende di corruzione emerse di recente.
Il passaporto per l’Europa di Serie A
Il governo bulgaro va fiero della frontiera con la Turchia. Deve diventare il suo biglietto da visita per ottenere l’agognato ingresso del Paese nella Zona Schenghen. Anche sbarcando all’aeroporto di Sofia, gli europei subiscono lo zelo dei doganieri che complice la presidenza bulgara dell’Unione tentano di accreditarsi quali garanti di un controllo affidabile del confine. «Rispetto al picco degli ultimi anni l’arrivo di clandestini è crollato dell’83%», afferma non privo di calore umano il commissario Mollov, tuta mimetica verde e galloni dorati sulle spalle, soddisfatto dei risultati ottenuti.
Tracciata nel 1878, al momento dell’indipendenza della Bulgaria dall’Impero ottomano, la frontiera che dal Mar Nero si allunga fino a Svilengrad è stata divisa in cinque settori, tutti controllati dal centro di Elhovo. «Fino al dicembre del 2013 – racconta il nostro interlocutore – il confine non aveva alcuna costruzione, solo alcune telecamere. Si passava liberamente da un Paese all’altro...». Quattro anni fa fu deciso di inalzare un muro di metallo di tre metri e mezzo di altezza. La prima sezione era lunga 30 chilometri. La costruzione è stata completata nel novembre scorso. Lungo l’intero confine è possibile l’attraversamento in soli tre punti: a Kapitan Andreevo, a Malko Tarnovo, e a Lesovo.
Mentre la linea di demarcazione con la Grecia taglia la catena del Rila e quella con la Romania è segnata dal Danubio, il confine con la Turchia è particolarmente delicato, e non solo perché è frontiera esterna dell’Unione: attraversa la Tracia, regione collinosa e spesso pianeggiante. Da Elhovo, gli uomini di Deyan Mollov controllano 24 ore su 24 l’intero tracciato. In una sala di controllo, una cartina della regione è proiettata su uno schermo che occupa l’intera parete. Alcuni poliziotti seguono sui monitor le immagini provenienti da telecamere poste lungo tutto il muro. Ogni venti metri sensori nel terreno registrano i cambi di temperatura e i movimenti improvvisi. L’obiettivo è di individuare i migranti clandestini: «Possiamo essere sul posto in 15 minuti», assicura il commissario Mollov. E aggiunge: «Il 98% della frontiera è filmato da telecamere».
L’uomo è parco di cifre sull’equipaggiamento delle guardie di frontiere bulgare. Hanno a disposizione numerose jeep, e anche elicotteri, forse droni. Corre voce che siano in tutto 1.800 doganieri, con l’aiuto anche dell’Unione. Spiega da Bruxelles Natasha Bertaud, portavoce della Commissione europea: «Il Corpo europeo di guardie di frontiera ha attualmente sul posto 133 persone, tre veicoli dotati di termocamere e 41 auto di pattugliamento». Dal 2015 a oggi, l’esecutivo comunitario ha versato aiuti d’emergenza al governo bulgaro per 172 milioni di euro, oltre ai 97,2 milioni previsti dal bilancio comunitario 2014-2020.
Al varco di Lesovo, qualche giorno fa, code di camion aspettavano di attraversare la frontiera verso la Turchia. Sul versante bulgaro a gestire il posto di confine è Nikolaj Dimitrov, un cinquantenne impettito. Mentre racconta al suo interlocutore il lavoro dei suoi poliziotti, un camion è sottoposto a ispezione. Un uomo controlla con un apposito macchinario la presenza di anidride carbonica nel rimorchio. Un altro si incarica di verificare la presenza di persone sul fondo del mezzo pesante e di perlustrare la cabina. Un terzo si avvicina con un cane per scoprire eventuali ordigni. Su una piattaforma a qualche metro dal suolo, un quarto doganiere si accerta che non vi siano persone sul tetto del veicolo.
«Successivamente il camion passa nelle maglie di uno scanner che radiografa la merce», interviene il poliziotto. «Due settimane fa abbiamo scoperto quattro afghani in un mezzo turco. Erano saliti all’insaputa dell’autista tagliando la copertura». Oltre a migranti irregolari, i doganieri cercano droga, merce di contrabbando ed eventualmente armi. In una Europa che volentieri rivendica, spesso con altezzosità morale, di non voler costruire muri ma piuttosto di volerli smantellare, la frontiera turco-bulgara stona a dir poco. L’obiettivo è di rassicurare le pubbliche opinioni di molti Paesi, preoccupate dall’arrivo massiccio di migranti dal Vicino Oriente.
Peraltro, i doganieri bulgari sono stati oggetti di critiche e accuse. In una relazione pubblicata nel dicembre scorso, gli eurodeputati Kati Piri e Kathleen Van Brempt hanno dato voce alle denunce di non pochi viaggiatori costretti a versare piccole mance per evitare eccessi di zelo o per velocizzare code rese più lunghe del necessario. Il governo bulgaro ha smentito. La Commissione europea, invece, preferisce non commentare vicende specifiche, anche se in un recente rapporto ha avvertito che la corruzione rimane un problema in questo Paese balcanico. Transparency International pone la Bulgaria al 70mo dei Paesi più corrotti al mondo, su 180.
Un premier dai modi spicci
Addirittura alcuni parlamentari europei che in febbraio si sono recati al confine – tra questi la deputata francese della sinistra radicale Marie Christine Vergiat – hanno detto di temere che alla frontiera le autorità bulgare effettuino surrettiziamente dei refoulement, ossia respingano potenziali profughi. Più in generale, preoccupano i modi politici apparentemente un po’ bruschi del governo conservatore guidato dal premier Boyko Borisov, una ex guardia del corpo.
Il poliziotto Dimitrov ribatte che le autorità bulgare seguono alla lettera le regole internazionali. Entro 24 ore, al migrante clandestino vengono effettuate una visita medica e una intervista per conoscerne la provenienza nel caso non abbia documenti. Dall’inizio dell’anno sono stati segnalati al confine turco-bulgaro appena 62 migranti clandestini, pari a una diminuzione dell’80% rispetto allo stesso periodo del 2017 (viceversa alla frontiera tra la Grecia e la Turchia l’aumento è stato del 17% nelle ultime settimane). Al di là della presenza del muro, i dati sono anche il risultato di un discusso accordo con Ankara che sul proprio territorio ospita ormai milioni di rifugiati provenienti da Oriente.
In questi anni, il confronto con la fine della globalizzazione nel primissimo Novecento è venuto naturale. Come allora, il crepuscolo di una belle époque è sancito da scontri e tensioni. Come allora, tornano i controlli alle frontiere. In fondo il confine turco-bulgaro è al tempo stesso il simbolo della forza e dell’attrattività dell’Unione europea, ma anche della sua debolezza e delle due divisioni. Un figlio di questa terra, l’autore di “After Europe” Ivan Krastev, è convinto che l’unico modo per evitare una disintegrazione dell’Unione è di accettare e capire le lezioni della crisi migratoria. In questa ottica, il muro di Lesovo potrebbe essere considerato il minore dei mali.