il manifesto 12.5.18
Si accende a Teheran la rabbia contro Usa e Israele
Israele/Iran.
«Non possiamo fidarci neanche degli europei» dice l'ayatollah
ultraconservatore Ahmad Khatami a sostegno delle proteste per l'uscita
degli Usa dall'accordo sul nucleare e per i raid israeliani. Rohani
rischia di esserne travolto. Israele intanto canta vittoria
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Rabbia nelle strade di Tehran, proclami di vittoria in Israele.
L’uscita degli Stati uniti dall’accordo internazionale sul nucleare
iraniano e i lanci di missili in Siria tra Israele e la Guardia della
Rivoluzione islamica (l’Iran però smentisce il suo coinvolgimento),
ieri hanno infiammato la capitale iraniana. “Mr Trump sta dicendo
sciocchezze”, “Morte all’America” e “Combattiamo, moriamo, ma non
accettiamo compromessi” hanno scandito i dimostranti non mancando di
condannare Israele. Proteste in parte innescate dall’alto e in parte
spontanee ma che rappresentano i sentimenti di buona parte degli
iraniani che si sentono traditi dagli Usa, tre anni dopo la firma di un
accordo che doveva dare il via alla crescita economica che non è mai
arrivata. E le sanzioni annunciate a inizio settimana da Trump
danneggeranno ulteriormente l’economia iraniana, malgrado l’Unione
europea e gli altri Paesi firmatari dell’intesa del 2015 si proclamino
determinati ad andare avanti, senza l’America. Martedì a Bruxelles il
ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif incontrerà le
controparti di Germania, Francia e Gran Bretagna. All’incontro
prenderà parte la “ministra degli esteri” dell’Ue Federica Mogherini,
sino ad oggi la più netta dei rappresentanti europei nel difendere
l’accordo di tre anni fa.
A Tehran però i dubbi si fanno sempre
più forti. Non sono sfuggiti gli abbracci e baci alla Casa Bianca tra
Emmanuel Macron e Donald Trump e la piena disponibilità del presidente
francese a modificare l’accordo per inserirvi la sospensione allo
sviluppo dei missili balistici iraniani. Un punto sul quale l’Iran non
intende fare concessioni. L’Iran «non può fidarsi degli europei» ha
tuonato ieri in diretta tv l’ayatollah ultraconservatore Ahmad Khatami
«non possiamo più fidarci dei firmatari europei, non possiamo fidarci
dei nemici dell’Iran». E Khatami ha puntato il dito contro lo Stato di
Israele, visto come l’ispiratore delle politiche di Trump in Medio
oriente. «Espanderemo la nostra capacità missilistica, nonostante le
pressioni» ha avvertito il religioso, «per far sapere a Israele che se
si comporta stupidamente, Tel Aviv e Haifa saranno distrutte. Mettiamo
in guardia Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, potrebbero
pagare il prezzo di qualsiasi azioni americana nella regione».
Come
era prevedibile, e forse desiderato da Washington e Tel Aviv, la
decisione di Trump e i continui attacchi aerei di Israele contro
presunte posizioni iraniane in Siria, danno voce alle forze iraniane
più radicali e indeboliscono il presidente Rohani che con
determinazione aveva cercato e ottenuto un’intesa diplomatica con i
Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per voltare pagina
nelle relazioni tra il suo Paese e l’Occidente. Se questa
radicalizzazione del discorso politico sfocierà nella ripresa da parte
dell’Iran dell’arricchimento dell’uranio su «scala industriale», come
minacciava ieri il ministro degli esteri Zarif, Usa e Israele avranno
il pretesto per lanciare un attacco contro l’Iran.
Bruciano
anche gli attacchi aerei di Israele, deciso a costringere Tehran ad
abbandonare la Siria. «Butta fuori gli iraniani, Qassem Suleimani e la
Forza al-Quds. Non ti aiuteranno e ti danneggeranno». Con queste parole
il ministro della difesa israeliano Lieberman si è rivolto ieri al
presidente della Siria Assad mentre perlustrava il Golan, il territorio
siriano che Israele occupa dal 1967. «Non dico che tutto sia finito
ma certamente siamo ben aggiornati», ha aggiunto con soddisfazione
riferendosi ai bombardamenti israeliani di mercoledì notte.