Il Sole 11.5.18
Siria campo di battaglia. Decine di razzi sul Golan, dura risposta delle forze israeliane
Prove generali di guerra tra Israele e milizie iraniane
di Roberto Bongiorni
«Spero
che questo capitolo sia chiuso e ognuno abbia ricevuto il messaggio».
Le parole con cui il ministro israeliano della Difesa, Avigdor
Lieberman, ha concluso la sua spiegazione suggeriscono che Israele non
desideri una guerra aperta con l’Iran. Non subito. Neppure Teheran
sembra volerla. Eppure l’intensificarsi dei raid israeliani contro le
postazioni militari iraniane in Siria, soprattutto l’ultima grande
operazione di giovedì notte (ne sarebberro stati colpiti 50), somiglia
sempre di più alle prove generali di un conflitto diretto.
Il raid
di giovedì notte segna comunque un punto di svolta. Non solo perché,
secondo l’esercito israeliano, si è trattato della «più grande
operazione militare israeliana in Siria dall’inizio del 2011». Ma anche
perché sarebbe la prima volta che le milizie filo-iraniane dispiegate in
Siria attaccano direttamente il territorio israeliano con «decine di
razzi» (che sarebbero stati neutralizzati). Un attacco ordinato, sempre
secondo l’Idf, dal generale iraniano Qassem Soleimani, comandante della
Forza al Quds.
Seguendo un copione collaudato, ognuna delle parti
ha minimizzato le proprie perdite enfatizzando (in questo caso solo
l’esercito israeliano) quelle inflitte al nemico. Martedì, poche ore
dopo l’annuncio del presidente americano Donald Trump di voler uscire
dall’accordo sul nucleare iraniano, i caccia israeliani avevano
attaccato una base iraniana in Siria, provocando delle vittime (quelle
dell’ultimo raid sarebbero più di 20).
Davanti al pericolo
concreto di un confronto militare regionale dalle conseguenza
potenzialmente catastrofiche la comunità internazionale sta cercando di
correre ai ripari. Ma lo sta facendo in modo sfilacciato. Se il
presidente francese, Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca, Angela
Merkel, ed anche la Russia (quest’ultima alleata del regime siriano ma
con rapporti amichevoli con Israele) hanno lanciato un appello alla
distensione attraverso la via del dialogo, il Regno Unito ha dichiarato
il suo sostegno al diritto di Israele di difendersi dall’Iran. Gli Stati
Uniti hanno invece apertamente assunto le difese di Israele, rivolgendo
severi moniti(simili a minacce) all’Iran.
Nell’arco di sei mesi
lo scenario mediorientale è cambiato drasticamente. In peggio. Durante
il primo periodo della guerra civile in Siria, Israele aveva scelto il
ruolo di spettatore neutrale, attento però a non farsi risucchiare dal
pantano siriano. Ma pur sempre determinato a proteggere la sua sicurezza
nazionale ogni qualvolta la ritenesse minacciata. In quest’ottica aveva
subito tracciato la sua linea rossa, anzi le sue linee rosse: nessun
trasferimento di armi sofisticate agli Hezbollah libanesi, suoi acerrimi
nemici ed alleati dell’Iran, nessuna base iraniana in Siria capace di
minacciare la sua sicurezza nazionale, e nessuna presenza di milizie
filo-iraniane vicino al confine tra Siria e Israele. Ogni volta che ha
ritenuto fossero state superate, ha reagito con raid aerei in Siria. Dal
2013 ve ne sarebbero stati almeno 100.
Una prima svolta è
avvenuta in febbraio. Quando un drone iraniano, secondo l’esercito di
Israele armato di esplosivo, ha sorvolato il suo spazio aereo.
L’esercito aveva subito abbattuto il drone, rispondendo con una dura
rappresaglia contro la base T-4, in Siria. Poco dopo un caccia F-16 era
precipitato, probabilmente colpito dal sistema anti-aereo siriano. Era
la prima volta in quasi 30 anni che un caccia israeliano veniva
abbattuto. Per Gerusalemme, che ha sempre cercato di mantenere la
superiorità aerea anche in funzione di deterrenza, era stato un duro
colpo. Il 9 aprile, il giorno dopo il brutale attacco con armi chimiche
sulla regione del Goutha (imputato al regime siriano) un nuovo raid
israeliano aveva colpito ancora la base T-4.
Un nuovo e grave
elemento di tensione rischia ora di aggravare la crisi. L’uscita degli
Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, caldeggiata da Israele,
potrebbe far precipitare la situazione in Medio Oriente. Consapevole di
una potenziale rappresaglia iraniana in Siria, il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu, ha alzato i toni dello scontro; Israele potrebbe
andare in guerra con l’Iran «più prima che dopo».
Sembra la
tempesta perfetta. Ci sono stati colpi di Stato e rivoluzioni. Invasioni
di potenze straniere (gli Usa in Iraq nel 1991 e nel 2003) e conflitti
per procura. Ma era dai tempi della guerra tra Iran e Iraq (1980-1988)
che la regione non vedeva un conflitto aperto tra due potenze rivali.
Questa volta c’è anche un campo di battaglia: la Siria. Mai come oggi
Israele e Iran sono stati vicini a una guerra. Anche se loro stessi
sembrano aver paura delle conseguenze.