il manifesto 11.5.18
Scontri sul Golan occupato, i monarchi del Golfo stanno con Israele
Iran/Siria/Israele.
Come gli Stati Uniti il ministro degli esteri del Bahrain afferma che
Israele ha il diritto di difendersi dall'Iran. Nuova vittoria
diplomatica per il governo israeliano. Netanyahu accusa l'Iran di aver
passato la "linea rossa" lanciando mercoledì notte dal territorio
siriano missili contro il Golan. Tehran nega ogni responsabilità
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
«Fino a quando l’Iran continuerà con l’attuale status quo delle sue
forze e i missili che operano nella regione, ogni paese – compreso
Israele – ha il diritto di difendersi eliminando la fonte di
pericolo». Questo tweet non è di @potus, il presidente degli Stati
uniti Trump che adora i micromessaggi per annunciare alcune delle sue
decisioni più importanti. A postarlo è stato ieri il ministro degli
esteri del Bahrain Khalid bin Ahmed Al Khalifa, a commento del
pesante bombardamento israeliano in Siria di mercoledì notte contro
presunte basi iraniane. Con poche parole ha dimostrato quanto si sia
capovolto il quadro delle alleanze in Medio oriente. Per le monarchie
sunnite del Golfo colpire e se possibile annientare l’Iran e i suoi
alleati è un imperativo. E che a farlo sia l’ormai ex nemico Israele
non genera più imbarazzi. Presto avverrà tutto alla luce del sole.
Minimizzare il passo del Bahrain sarebbe un grave errore. Dietro
questo minuscolo arcipelago del Golfo c’è l’Arabia saudita del
principe ereditario Mohammed bin Salman che, come Israele, ha
applaudito con soddisfazione alla decisione di Donald Trump di far
uscire gli Usa dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano. Non
sorprende che ieri il ministro della difesa israeliano Lieberman
abbia chiesto agli Stati del Golfo di «uscire subito allo scoperto e
di iniziare a parlare apertamente» per formare «un asse dei
moderati contro la minaccia iraniana».
Lieberman ha esaltato
come una vittoria eccezionale l’offensiva aerea e missilistica
lanciata da Israele sulla Siria, la più vasta dalla guerra del 1973.
Offensiva che ha descritto come una risposta al lancio dalla Siria di
20 missili terra-terra da parte di unità scelte al Quds della Guardia
repubblicana dell’Iran sulle alture del Golan, il territorio che
Israele occupa dal 1967 e che si è annesso unilateralmente.
Bombardamenti aerei e decine missili, sempre secondo la versione di
Tel Aviv, che avrebbero distrutto tutte le posizioni iraniane in Siria –
radar, posti di osservazione, basi, campi di addestramento, depositi
di armi – e causato vittime tra gli iraniani (i morti sarebbero
almeno 23, in maggioranza ”stranieri”, secondo fonti dell’opposizione
siriana). «Non consentiremo all’Iran di trasformare la Siria in un
proprio avamposto militare…Mi auguro che il capitolo sia già chiuso e
che ognuno abbia recepito il messaggio», ha aggiunto con tono
minaccioso Lieberman. Qualche ora dopo il premier Netanyahu ha
accusato l’Iran di aver superato la ”linea rossa”. «La nostra
reazione è venuta di conseguenza – ha affermato – Tzhal (le forze
armate, ndr) ha condotto un attacco su grande scala contro degli
obiettivi iraniani in Siria…Ho inoltrato un messaggio chiaro al regime
di Bashar Assad: la nostra operazione è diretta contro obiettivi
iraniani in Siria. Ma se l’esercito siriano agirà contro Israele, noi
agiremo contro di esso, come è esattamente avvenuto».
La
Russia, alleata di Damasco ma che non ostacola in alcun modo i raid
israeliani, sostiene che metà di quei missili sono stati abbattuti
dalle difese siriana. Mentre l’Iran smentisce qualsiasi responsabilità
nell’attacco contro le postazioni militari israeliane sul Golan.
«Tehran non ha nulla a che fare con i missili lanciati a Israele
dalla Siria nella notte di mercoledì», ha affermato il vice
responsabile del Consiglio supremo della sicurezza nazionale
iraniano, Abu al-Fadl Hassan al-Baiji. Da parte sua la Siria ammette
che gli attacchi israeliani hanno colpito battaglioni di difesa aerea,
radar e un deposito di munizioni ma insiste sul coinvolgimento
esclusivo delle sue forze militari. E sottolinea che l’escalation ha
riguardato il Golan occupato da Israele. «La difesa antiaerea siriana
è rimasta in azione per alcune ore e si sono sentite forti
esplosioni», raccontava ieri al manifesto Anna Costa, una cooperante
italiana della Ong di Bologna GVC, da due settimane a Damasco «la
popolazione comunque è tranquilla e non sembra temere il possibile
inizio di una guerra (con Israele). D’altronde non dimentichiamo che
questo Paese da anni fa già i conti con la guerra al suo interno».
Di
fronte alla valanga di dichiarazioni e proclami delle parti coinvolte
non è facile stabilire in modo defintivo chi siano i vincitori e i
vinti degli scontri dell’altra notte. Israele però ha sicuramente
vinto un altra battaglia della guerra politica e diplomatica che sta
facendo a Tehran, diffondendo l’iranofobia, e non solo nei Paesi
occidentali, con l’appoggio dei sauditi e delle monarchie del Golfo.
«La comunità internazionale deve impedire alla forza al-Quds iraniana
di trincerarsi in Siria. I tentacoli del diavolo vanno tagliati prima
che si espandano qui e altrove» ha detto. Netanyahu è deciso a
sfruttare in pieno l’appoggio totale che garantisce Donald Trump alle
sue politiche. Ieri anche i leader europei, da Emmanuel Macron ad
Angela Merkel, che pure non hanno digerito l’uscita degli Usa
dall’accordo sul nucleare iraniano, erano dalla sua parte, impegnati a
condannare Tehran e a dispensare scontati appelli alla moderazione che
certo non basteranno ad evitare la nuova guerra. A Tel Aviv, Tehran,
Riyadh, Damasco e Beirut sanno che la resa dei conti arriverà, presto o
tardi. L’altra notte ne abbiamo avuto solo un assaggio.