il manifesto 11.5.18
Iran, la voragine ci inghiotte
di Tommaso Di Francesco
Mentre
 la crisi italiana dopo il voto del 4 marzo getta la maschera, con la 
rischiosa trattativa di governo tra le due forze populiste vincenti ed 
emergenti, all’ombra dello «statista» Berlusconi, ecco che subito si 
riaffaccia la voragine di un’altra guerra.
Stavolta con l’Iran come target e Israele come protagonista.
Sono
 decine le persone uccise nei raid israeliani della notte scorsa in 
Siria «contro obiettivi iraniani»; l’esercito israeliano – che sostiene 
di aver reagito al lancio di venti razzi sul Golan (che è territorio 
siriano occupato da Israele) – ha colpito con 70 missili complessivi, 60
 con 28 jet F15 ed F16 e dieci con missili tattici terra-terra dal 
territorio israeliano.
È la prova generale di un’altra guerra su vasta scala e diretta, dopo le tante in Siria «per procura».
Alla
 nuova deflagrazione ha dato il via libera Trump con la denuncia 
dell’accordo sul nucleare civile dell’Iran faticosamente raggiunto da 
Obama insieme ai 5 più 1 (i membri del Consiglio di Sicurezza Onu con 
potere di veto, Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina più la 
Germania) e definito da Mogherini «storico».
Lo ha fatto con l’annuncio peggiore di nuove sanzioni non solo contro l’Iran ma anche contro chi avrà rapporti con Teheran.
Che
 quella di Trump sia una scelta di guerra, lo ha denunciato anche il 
segretario dell’Onu Antònio Guterres. Ma per Trump è di più: è una 
promessa elettorale da rovesciare nella voragine mediorientale.
Come del resto l’altro «ordigno» che lancerà tra poche ore: lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme.
Perché
 l’intento della Casa bianca è lasciare incandescente il «forno» del 
conflitto tra sciiti e sunniti, eredità delle guerre bipartisan contro 
l’Iraq.
La guerra in Siria non deve finire con la sconfitta – 
invece cogente – dello jihadismo alimentato in primis dall’Arabia 
saudita alleato storico d’acciaio degli Stati uniti.
Per questo Trump è diventato un piazzista di armi.
A
 fine 2017 ha riunito il fronte sunnita a Riyadh per schierarlo contro 
l’Iran, portando in dote alla petromonarchia dei Saud una fornitura di 
armi di 100 miliardi di dollari. E qui, tra Mediterraneo, fossa comune 
di migranti e martoriato Medio Oriente non c’è nemmeno la Cina a 
garantirgli la scena per una trattativa con il cattivo di turno, come 
accade nella penisola coreana.
Direttore d’orchestra il premier 
israeliano Benjamin Netanyhau, che aizza contro il nucleare civile 
dell’Iran mentre Israele possiede centinaia di atomiche (alcune puntate 
su Teheran) e che va al conflitto, e al tiro al piccione dei palestinesi
 – dopo aver fatto scempio di ogni possibilità di pace interna – perfino
 «in bicicletta», sponsorizzato dai media occidentali dopo le tre tappe 
israeliane del Giro d’Italia (povero Ginettaccio).
Unica voce 
alternativa al mondo Amnesty International che, dopo un rapporto 
agghiacciante sui corpi devastati a Gaza dai proiettili israeliani, 
chiede con forza l’embargo di armi per Israele.
Il dossier 
nucleare di Netanyahu è pari alla sua faccia tosta: Israele è l’unica 
potenza atomica del Medio Oriente e detta legge sul nucleare civile 
altrui; eppure «Bibi», con uno spettacolo da comico di crociera, ha 
«rivelato» al mondo le presunte preparazioni atomiche dell’Iran che 
l’atomica non ce l’ha, ma aderisce a controlli e Trattati, e vuole solo 
diversificare le fonti energetiche per la crisi economica che 
l’attanaglia anche per il peso delle sanzioni Usa.
Mentre in 
queste ore l’Arabia saudita – fomentatrice del jihadismo sunnita e 
alleata d’Israele – avverte: «Se Teheran avrà l’atomica anche noi 
l’avremo».
Tra gli altri effetti collaterali, la scena sembra 
pronta per l’intervento diplomatico di Putin, grande alleato della 
presidenza Rohani,- del resto Putin venne pubblicamente ringraziato da 
Obama nel 2015 per la sua decisiva mediazione.
Alternativa alla 
guerra sembra stavolta la reazione dell’Unione europea che di 
quell’accordo è stata in parte artefice. Ora, almeno a parole, da Macron
 a Mogherini, da Merkel all’uscente Gentiloni, si conferma uno 
schieramento contrario perfino con l’atlantica May. Tutti presi a 
schiaffi in faccia da Trump.
Ma che accadrà quando le capitali 
europee dovranno fare i conti con lo spettro che già terrorizza, vale a 
dire l’annunciato embargo americano alle transazioni con l’Iran? Ci 
vorrebbe allora un’Europa non atlantica.
Perché mentre l’Unione 
europea si barcamena solo sulle vicende monetarie ed economiche 
perseguendo coi vincoli di bilancio le già scarse politiche sociali dei 
Paesi comunitari, la sua politica estera fin qui resta avventurista o 
apre fronti tardo-coloniali, come fa Macron in Africa; oppure pensa alla
 difesa europea ma come doppio subalterno (nelle spese e nelle finalità)
 all’unica realtà sovranazionale d’Europa: la Nato.
Teheran intanto minimizza.
Ma
 s’incendiano nuovi fronti. Così si prepara al peggio. Che non è solo il
 conflitto in Siria, ma l’attesa provocazione di un raid aereo 
israeliano su siti nucleari iraniani – un déjà-vu che stavolta sarebbe 
un detonatore – del quale già si intravvede la traiettoria.
Siamo 
nella voragine. Ci stiamo dentro nel vuoto di contenuti e di forze che 
assumano la pace e il rispetto della Costituzione come condizione senza 
la quale non c’è governo possibile.
 
