il maniifesto 18.5.18
Storie di clandestinità e passione
Scaffale.
«Amori comunisti» di Luciana Castellina, edito da nottetempo. «Per chi
si fa coinvolgere dalla Storia fino in fondo, la vita privata e quella
pubblica sono così strettamente intrecciate che a volte si confondono»
di Andrea Bajani
Che
il pericolo allerti e faccia più acuta la memoria è un fatto ormai
assodato. Il divieto di parlare non cauterizza le parole: le rende
viceversa forti, anche se acquattate in uno spazio della mente a tentare
di non dissolversi, a farsi forza reciprocamente. Tutti i regimi
repressivi, tutte le dittature raccontano la stessa storia: l’ordine di
tacere rende guerrigliere le parole. Le manda se mai in clandestinità:
più agguerrite ancora, cercano una strada per non perdersi. Pretendono
di dire, vogliono eludere la sorveglianza.
Senza nulla con cui
scrivere, Antonio Gramsci, nella prima fase della detenzione, cerca di
imparare a memoria frammenti di testi. Anna Achmatova, Osip Mandel’štam,
sono solo alcuni dei tanti salvati dall’intervento mnemonico degli
altri: proibiti i loro testi dalla dittatura, gli amici (o loro stessi)
li mandano a memoria. Farsi custode e custodia delle parole altrui,
questa è una delle forme di resistenza: farsene abitare, diventare
corrieri clandestini, verbotrafficanti.
Passare il confine, aprire
la bocca, finalmente, come si apre una finestra, per far volare le
parole: guardare una frase, una poesia dispiegare le ali, per poi
andarsene libera nell’aria. Libera di essere guardata, letta, detta a
voce alta.
Il libro di Luciana Castellina, Amori comunisti,
pubblicato in questi giorni da Nottetempo (pp.272, euro 16), ha a che
fare con tutto questo. Raccoglie tre storie di lotta comunista, di
resistenza, di clandestinità e di passione.
«Li ho chiamati ‘amori
comunisti’ – scrive nella prefazione – non solo perché questa era la
fede dei loro protagonisti, ma perché, per chi si fa coinvolgere dalla
Storia fino in fondo, la vita privata e quella pubblica sono così
strettamente intrecciate che a volte si confondono. Sono storie che mi
hanno meravigliato, appassionato, sconvolto».
IL GRANDE POETA
TURCO Nazim Hikmet e Münevver Andaç; i resistenti della guerra civile a
Creta Arghirò Polichronaki e Nikos Kokovlìs; l’amore, nell’America
flagellata dalla mannaia maccartista, tra Sylvia Berman e il dirigente
del partito comunista Robert Thompson. Sono tre storie che raccontano,
di fatto una cosa molto semplice: quanto la propria vita acquisti di
senso quando si è disposti a lottare insieme a qualcun altro perché il
mondo sia migliore. Quanto la sofferenza non sia sinonimo di sconfitta –
come ci hanno insegnato decenni di dittatura dell’intimismo – ma un
passaggio di stato, uno strumento di lotta. Non c’è rivoluzione,
pubblica o privata, in cui la sofferenza, il contrasto, non faccia la
sua parte.
L’AVVERBIO insieme, è in fondo, il protagonista di
questo libro. Hikmet, il cantore dell’amore e della passione politica,
dal carcere scrive alla moglie perché la sua solitudine non lo ammazzi.
C’è qualcuno fuori che lo aspetta, e questo è quello che intravede tra
le sbarre. Arghirò Polichronaki e Nikos Kokovlìs resistono per anni
sulle montagne di Creta insieme ad altre sei persone, a dispetto
dell’evidenza dell’imparità dello scontro. Sylvia Berman continuerà a
scrivere a Thompson durante gli anni della prigione, e si batterà perché
le sue ceneri vengano sepolte nel cimitero di Arlington tra gli eroi
degli Stati Uniti, nonostante la fede comunista. Insieme. «Ho imparato
che il problema degli altri è uguale al mio – scrive don Milani, citato
dall’autrice a mo’ di sintesi di questo libro – Sortirne tutti insieme è
politica. Sortirne da soli è avarizia».
Luciana Castellina si è
fatta custode e custodia di queste storie per anni. Ha lasciato che gli
uomini e le donne qui raccontati, incontrati in decenni di militanza e
di corrispondenza per Paese sera e il manifesto, prendessero spazio
dentro di lei. Ha offerto la propria memoria come casa, come rifugio a
chi non ce l’aveva. Per decenni quelle storie sono state parte del suo
patrimonio interiore e della Storia.
Forse Castellina ha poi
dovuto oltrepassare il 1989, e forse persino il Duemila, prima di
tirarle fuori e liberarle in aria per lettori e cittadini. È stato
necessario tutto questo tempo perché l’amore potesse stare insieme
all’aggettivo comunista.
IN FONDO, SI È SEMPRE liquidato il
comunismo con verdetti sommari e semplificatori, appellandosi a presunte
evidenze della Storia. L’ha fatto chi vi aveva aderito e l’ha fatto chi
lo aveva sempre osteggiato. Per farlo, però, si è sempre tenuto fuori
l’uomo, si è sempre espunta la passione, quel laccio che tiene insieme
la solitudine e la storia, l’amore e la lotta politica. E si è sbandiera
la parola felicità come un risultato del tramonto delle ideologie.
A
quasi trent’anni dall’89, Amori comunisti si riappropria di quel nodo
emotivo che, anche a sinistra, si era tenuto nascosto come una vergogna.
Era ora che venisse fuori. Per questo è un libro imprescindibile.