il manifesto 9.5.18
Trump straccia l’accordo con l’Iran e minaccia l’Europa
Irandeal.
Stati uniti via dall’intesa: «Gli iraniani mentono». Nuove sanzioni
anche a chi aiuta Teheran. Tusk «L’approccio europeo sia unito». Ha
prevalso il pressing saudita e israeliano, dalle guerre in Siria e Yemen
al «rapimento» di Hariri
di Chiara Cruciati
«Il
regime iraniano è lo sponsor globale del terrorismo». Così il
presidente Trump ha iniziato ieri il durissimo discorso con cui ha
ritirato gli Stati uniti dall’accordo sul nucleare siglato dall’Iran e i
paesi del 5+1 nel luglio 2015.
«Avrebbe dovuto proteggere gli Usa
e i suoi alleati dalla follia di una bomba nucleare iraniana, ma ha
permesso all’Iran di arricchire uranio». E seguendo la linea tracciata
una settimana fa dal suo braccio destro, il premier israeliano Netanyahu
(ovviamente citato), Trump ha accusato Teheran di aver mentito,
travestendo da progetto civile la corsa alla bomba nucleare: «Al centro
dell’accordo c’era un’enorme finzione: che un regime omicida desiderasse
solo un programma nucleare energetico pacifico. Oggi abbiamo le prove
che la promessa iraniana era una bugia».
Di prove però Trump non
ne ha date, non gli servono: «Gli Usa si ritirano dal Jcpoa e firmo un
decreto per la reintroduzione di sanzioni economiche di più alto
livello. Ogni nazione che aiuterà l’Iran nella sua ricerca dell’arma
nucleare potrà essere duramente sanzionata dagli Usa».
Sanzioni
che non entreranno in vigore prima di 90 giorni e che richiedono il voto
del Congresso. Solo allora Washington potrà dirsi fuori dall’intesa,
sebbene il nuovo consigliere alla sicurezza nazionale Bolton ieri
smussasse gli angoli: gli Usa, ha detto, «sono pronti ad aprire un
dialogo con l’Iran per nuovo accordo».
Ma la minaccia all’Europa e
alla Russia è insita: le previsioni si sono rivelate fallaci, Trump non
intende lasciare campo libero a Bruxelles e Mosca. La risposta iraniana
arriva a stretto giro: «Invece di un accordo con sei paesi, ora abbiamo
un accordo con cinque. Non consentiremo a Trump di vincere questa
guerra psicologica», ha detto il presidente Rouhani. Per poi far sapere
di aver «ordinato all’Organizzazione per l’energia atomica di star
pronta a iniziare l’arricchimento dell’uranio a livelli industriali».
L’annuncio
di Trump era stato anticipato pochi minuti prima dal vicepresidente
Pence: uscita dall’Irandeal e reintroduzione delle sanzioni congelate
dopo luglio 2015, quando il Jcpoa fu firmato dal ministro degli Esteri
iraniano Zarif e i paesi del 5+1. A nulla è valso il lavoro diplomatico
degli altri firmatari: la Casa bianca non ha cambiato idea, lo storico
accordo (il principale successo in politica estera del predecessore
Obama, insieme al disgelo con Cuba) resta per l’attuale inquilino della
Casa bianca «folle».
Perché pone un limite temporale (il 2030) e
perché non tiene conto del programma di missili balistici della
Repubblica Islamica. Che, verrebbe da dire, potrebbe essere considerata
una normale forma di difesa visti i venti di guerra che proprio
Washington, insieme a Tel Aviv e Riyadh, fanno spirare sull’Iran da
anni.
A nulla è valso nemmeno il monitoraggio dell’Agenzia
internazionale per l’Energia Atmica che ripete a ogni piè sospinto che
Teheran sta rispettando i termini dell’intesa.
Né ha avuto effetti
il pressing europeo, proseguito per tutta la giornata di ieri dopo le
visite di Macron e della cancelliera tedesca Merkel a Washington il mese
scorso: Unione europea e singoli paesi firmatari del Jcpoa (Francia,
Germania e Gran Bretagna) hanno incontrato ieri la delegazione iraniana a
Bruxelles. La voce è unica: «Sostegno all’attuazione dell’accordo da
parte di tutti».
Ieri Macron, dopo il discorso di Trump, dava per
primo voce alle paure comuni: «Francia, Germania e Gran Bretagna si
rammaricano della decisione Usa. Il regime di non proliferazione
nucleare è a rischio», ha scritto su Twitter annunciando un’intesa
«nuova e più ampia». Da Bruxelles hanno parlato l’Alto rappresentante
agli Esteri, Mogherini, che ha ribadito «l’impegno della Ue per il
rispetto dell’intesa», e il presidente del Consiglio Tusk che ha fatto
appello «a un approccio europeo unito» da discutere la prossima
settimana.
L’Europa teme un’escalation delle tensioni tra
Washington e Teheran, alimentate fin dall’inizio della presidenza Trump e
infiammate dalle pressioni saudite e israeliane. Sotto forma di
conflitti bellici, quello siriano e yemenita, e di interventi indiretti,
dal «rapimento» saudita del premier libanese Hariri allo show del primo
ministro Netanyahu che voleva dimostrare – senza prove – presunte bugie
iraniane sul programma nucleare.
I timori europei si concentrano
tanto su possibili sbocchi militari della rottura quanto sui danni alle
imprese del Vecchio Continente che dopo l’entrata in vigore
dell’Irandeal si sono gettate su un mercato enorme (80 milioni di
persone pronte ad aprirsi al mondo dopo quattro decenni di isolamento).
Per poi restare al palo
. La mancata sospensione delle sanzioni
alle banche iraniane impedisce il trasferimento di denaro e molti
progetti miliardari fin qui siglati dai giganti europei restano in
sospeso, come i memorandum firmati dai governi. E poi Peugeot, Renault,
Ferrovie dello Stato (5 miliardi di dollari per l’alta velocità tra Arak
e Qom e tra Teheran e Hamadan), Eni, Enel, Finmeccanica, Total
impegnata nello sviluppo del giacimento South Pars (335 miliardi di m3
di gas naturale e 290 milioni di barili di condensati), la giapponese
Tokyo Engineering, la russa Gazprom.