mercoledì 9 maggio 2018

il manifesto 9.5.18
Stavolta gli iraniani se la legheranno al dito
Irandeal. La decisione del presidente Trump avrà conseguenze non irrilevanti nel paese: i falchi di Teheran avranno gioco facile nel criticare Rohani e i suoi ministri e le minacce militari all’integrità nazionale daranno mano libera ai pasdaran
di Farian Sabahi


In questi due anni e mezzo gli americani non hanno rispettato l’accordo sul nucleare iraniano firmato a Vienna il 14 luglio 2015. A sottoscriverlo, dopo lunghissime trattative diplomatiche, erano stati i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) e la Germania.
Ora, la firma del waiver delle sanzioni contro l’Iran da parte del presidente americano Donald Trump è una questione tutta interna agli Stati Uniti. Per gli iraniani, conta poco: non rispettando l’accordo, lasciando in essere le sanzioni finanziarie del Tesoro americano, le imprese occidentali non sono riuscite a lavorare con l’Iran perché la maggior parte delle banche europee si rifiuta di accettare pagamenti da Teheran e di aprire lettere di credito per il timore di ripercussioni oltreoceano.
In questi due anni e mezzo, l’economia iraniana non si è risollevata. Al contrario, la valuta locale (il rial) si è svalutata rispetto al dollaro e ci si attende un aumento dell’inflazione. Il governo del presidente Hassan Rohani ne ha risentito, perché sono stati i suoi uomini a firmare l’accordo di Vienna – rinunciando alla sovranità nucleare – senza avere granché in cambio.
Ora lo sapete, la ratifica del waiver alle sanzioni iraniane da parte di Trump conta poco: in Iran non ci sono molte imprese occidentali a fare business, quelle che si erano avventurate cercano di uscire da quel mercato. Eppure, nonostante questo, la decisione del presidente statunitense avrà conseguenze non irrilevanti all’interno dell’Iran: i falchi di Teheran avranno gioco facile nel criticare Rohani e i suoi ministri; le minacce militari all’integrità nazionale daranno mano libera ai pasdaran, le Guardie rivoluzionarie; ma, soprattutto, gli iraniani se la legheranno al dito.
Sono un popolo orgoglioso, con tremila anni di storia e una cultura che non ha pari nel resto del Medio Oriente, basti pensare ai successi della letteratura e del cinema persiano. Hanno ceduto sul nucleare e sognato uno sdoganamento del loro paese, non solo dal punto di vista economico e finanziario ma anche in termini di immagine, ne hanno fin sopra i capelli di essere considerati dei cattivi ragazzi.
L’obiettivo di Trump e dei suoi alleati (Israele e Arabia Saudita) non è mandare a monte l’accordo nucleare (scopo già conseguito), ma annientare l’Iran come potenza regionale.
Il primo passo è stato compiuto: gli israeliani stanno attaccando le basi militari iraniane in Siria, dove i pasdaran sono presenti, non solo per fare man forte al presidente Bashar al-Assad ma anche per contrastare l’Isis (un favore che l’Europa non dovrebbe dimenticare).
E gli americani stanno affiancando i sauditi nella guerra in Yemen, dove i ribelli sciiti Huthi avevano preso il potere dopo la primavera araba e la conferenza del dialogo nazionale. Ora che Hezbollah ha vinto le elezioni parlamentari in Libano, non si escludono nuovi attacchi da parte delle forze armate dello Stato ebraico su Beirut.
Il secondo passo di Trump e compagni sarà prendere di mira il programma missilistico che Teheran persegue nella sua politica di deterrenza. Difficile dare torto agli ayatollah, dopo che il regime iracheno di Saddam Hussein e quello dei Talebani in Afghanistan sono stati eliminati dalle coalizioni guidate dagli americani. Il terzo passo è la destabilizzazione dell’Iran, per arrivare a una frammentazione in piccoli stati etnici di quello che oggi è una nazione grande cinque volta e mezza l’Italia. Per fare questo, gli americani e i loro alleati stanno finanziando i gruppi separatisti in diverse parti dell’Iran, dal Curdistan al Khuzestan e al Balucistan.
Quarto passo, ambizioso, è il cambio di regime: difficile portarlo avanti, l’opposizione in esilio ha sempre grande copertura mediatica ma non conta nulla in Iran, tanto meno i Mojaheddin del Popolo che nel 1980 avevano preso le parti di Saddam Hussein che aveva invaso l’Iran. Per eliminare la Repubblica islamica, i nemici dell’Iran sperano nella continuazione delle proteste scoppiate a inizio anno in quasi ottanta città e motivate in buona parte dalle preoccupazioni economiche.
Ora, per far fronte al dissenso interno, gli ayatollah hanno deciso di mettere fuori legge Telegram, per sostituirlo con altre app made in Iran. Una di queste si chiama Soroush, ha gli emoji con il chador, lanciano invettive contro l’America, Israele e la massoneria.
A usare l’app sono già cinque milioni di utenti, scherzano dicendo che le freccine che diventano blu alla lettura sono tre anziché due: la terza è visibile quando i servizi segreti hanno letto il tuo messaggio. La goccia che potrebbe far traboccare il vaso, tra gli iraniani esasperati dalla crisi economica e dall’inimicizia con l’Occidente, potrebbe non essere il waiver di Trump ma questa terza freccina.